Là dove c’era uno stabilimento tessile il cui destino ha incontrato un vicolo cieco, oggi nasce un nuovo Global Cloud Data Center. Là dove spazio e acqua non mancavano per far girare le macchine di una vecchia industria, oggi spazio, acqua e sole sono il cuore di un progetto ispirato all’innovazione. Là dove la val brembana si affaccia sulla pianura padana e dove la ciminiera della vecchia Legler ancora ricorda i ritmi del lavoro della piccola comunità di Ponte San Pietro, oggi un Green Data Center bussa alle grandi aziende europee per mettere a disposizione spazi virtuali e connettività con alte performance e massima sicurezza. La trasformazione digitale italiana passa per queste piccole grandi storie, dove territorio e comunità si intrecciano al “made in Italy” anche nel nome della digitalizzazione. Il taglio del nastro dei nuovi Data Center Aruba ha dunque un significato profondo, che segna un nuovo importante capitolo per Ponte San Pietro e un importante passo avanti per la gestione dei dati in Italia.
[…] dove sorgeva l’industria Legler, su un’area dismessa da tempo e così strategica per Ponte San Pietro e per l’intero territorio provinciale, è nato e ora si amplia il Data Center Campus più grande d’Italia nel segno della transizione digitale e dello sviluppo informatico. Grazie alla lungimiranza e alla qualità degli investimenti di Aruba, abbiamo l’onore di ospitare un polo aziendale moderno, sostenibile, tecnologicamente all’avanguardia, capace di generare reddito e posti di lavoro guardando al futuro, con importanti benefici anche in termini di opere pubbliche per la comunità.
Matteo Macoli, Sindaco di Ponte San Pietro e Vicepresidente della Provincia di Bergamo
Aruba inaugura due nuovi Data Center
500 milioni di investimento su un’area di oltre 200 mila metri quadri, con il fluire del Brembo che risuona fino alle porte degli edifici e l’ombra lunga della vallata che si distende sul grande piazzale vuoto per i futuri ampliamenti. Dopo l’inaugurazione del primo Data Center, Aruba ha dato il via a questa seconda inaugurazione aprendo i nuovi spazi per ospitare nuovi dati e nuove aziende in cerca di risorse cloud.
Spiega Aruba:
Facendo seguito al primo dei Data Center inaugurato all’interno del campus (DC-A) – 10 sale dati ormai totalmente impegnate e dispiegate su un totale di 10.000 m² e 12 MW, il nuovo DC-B occupa una superficie di oltre 17.000 m² ed una potenza di 9 MW, ripartita su tre grandi sale dati, con infrastrutture indipendenti dedicate a ciascuna sala. Il DC-C è, invece, frutto di una evoluzione in termini di design relativa agli impianti e alle scelte di utilizzo degli spazi interni: è un Data Center multipiano con 8 sale dati poste su due livelli, una potenza a regime di 8 MW ed una superficie totale di quasi 14.000 m².
I metri quadri portano il peso dei grandi numeri, ma sono un valore estremamente relativo e di scarsa importanza. Quel che più conta, infatti, è il modo in cui questa superficie è stata sfruttata e il livello di tecnologia che è stato riversato in questi investimenti. Aruba ha infatti scelto uno sviluppo verticale importante, creando un piano doppio con generosi intercapedini sfruttati tanto per la dissipazione del calore, quanto per la manutenzione facilitata degli apparati.
Una riorganizzazione delle strutture interne rispetto ai progetti antecedenti ha anche consentito di ottimizzare l’impiantistica e le ridondanze, migliorando la gestione complessiva grazie ad una nuova dislocazione delle power unit, degli impianti di ridondanza e degli impianti di regolazione della temperatura.
Siamo orgogliosi di poter presentare ufficialmente due nuovi Data Center di ultima generazione che contribuiranno alla trasformazione digitale del Paese. Progettiamo i nostri campus tecnologici non solo con l’obiettivo di renderli a prova di futuro, ma anche di essere il più possibile ecosostenibili, così da minimizzare l’impatto ambientale, efficientare i consumi – nel pieno rispetto degli standard di affidabilità e sicurezza – e conseguire i massimi livelli di certificazione. Siamo particolarmente felici di inaugurare anche il nuovo Auditorium Aruba, un luogo di aggregazione e di interazione che consentirà a noi, ad altre aziende o a realtà del territorio di organizzare eventi in un contesto altamente tecnologico ed innovativo.
Stefano Cecconi, Amministratore Delegato di Aruba
La sostenibilità al centro
Cecconi ricorda inoltre come la sostenibilità, aspetto che in molti ambiti è un costo difficile da sopportare per l’economia, nel digitale è invece una frontiera da inseguire assiduamente. I Data Center, infatti, sono strumenti estremamente energivori ed il loro impatto va calmierato attraverso ogni tipo di energia alternativa disponibile. Nel caso specifico si è attinto a pozzi geotermici, all’idroelettrico basato sui flussi scostanti del Brembo ed a tutta la superficie fotovoltaica possibile; in futuro sono previsti investimenti ulteriori nell’idroelettrico, tentando così di aumentare ulteriormente la capacità produttiva per un impianto che di energia vive e che di approvvigionamenti sostenibili non può fare a meno.
La sostenibilità è un valore “core”, dunque, che Aruba intende far proprio come driver sia ecologico che economico. A fargli eco è Giorgio Girelli, General Manager di Aruba Enterprise, secondo il quale la sostenibilità “è un’attitudine”: ridondanza e continuità operativa, valori fondamentali per un Data Center di alta qualità, sono problemi crescenti a cui le nuove tecnologie stanno offrendo sempre maggiori risposte grazie ad efficientamento, performance in crescita e nuove competenze.
Global Cloud Data Center è stato, inoltre, progettato e realizzato con l’obiettivo di superare gli standard di mercato in termini di affidabilità e performance ed essere in grado di coprire ogni esigenza anche in termini d’espansione futura: è di fatto certificato per soddisfare ed eccedere i massimi livelli di resilienza previsti dal livello Rating 4 di ANSI/TIA 942 e ha recentemente implementato la nuova ISO 22237. In dettaglio, Aruba è stata la prima in Italia a certificarsi con questo standard internazionale di riferimento per l’intero ciclo di vita del data center, dall’ideazione strategica alla realizzazione e messa in esercizio.
La sostenibilità è dunque la costante attorno alla quale l’intero progetto prende forma, attorno a cui anche il futuro Data Center di Roma è stato progettato (idealmente immaginato per dotare i dati di Ponte San Pietro della necessaria ridondanza geografica) e per la quale è oggi importante insistere in termini valoriali.
Il tema della sostenibilità, insieme a quello della cybersicurezza e della necessità di formazione, competenza e talenti da spendere nel settore, è stato discusso all’interno del nuovo Auditorium Aruba sviluppato all’interno dei nuovi edifici:
[…] uno spazioso e modernissimo luogo di aggregazione per realizzare eventi caratterizzato da un ampio teatro dotato di oltre 400 sedute e un grande foyer con executive lounge, su una superficie complessiva di oltre 1.500 m². L’Auditorium è stato progettato per consentire la realizzazione anche in simultanea di più eventi ed è dotato sia di una eccellente acustica che delle più avanzate tecnologie di diffusione audio, video e streaming. Tutto questo consente la produzione e realizzazione di svariati format di eventi per creare esperienze di confronto, dibattito e intrattenimento: conferenze, convention, meeting aziendali, concerti, rappresentazioni teatrali e videoproiezioni documentaristiche o cinematografiche, rivolte sia a un pubblico live che ad audience digitali.
Identità e sovranità
Quel che il Data Center può restituire al territorio è un forte valore di identità, con importanti ricadute in termini di investimento e di occupazione, creando ricchezza e dinamismo grazie ai rapporti tessuti con il contesto circostante. Quel che l’investimento può restituire all’Italia, invece, è qualcosa di altrettanto importante: un passo avanti nella direzione della “sovranità“.
Ad insistere in modo particolare su questo concetto è stato soprattutto Roberto Baldoni, Direttore Generale dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale, secondo il quale “Dobbiamo iniziare a ragionare in maniera autonoma nel nostro paese in merito ai temi legati a protezione e sicurezza digitale“. E continua: “I nostri dati, il nostro tesoro più prezioso, non devono essere collocati in altri paesi. Per questo è imprescindibile un’autonomia strategica all’interno del settore della cybersicurezza. Il 2023 sarà l’anno dell’accelerazione tecnologica, motivo per cui dobbiamo capire in modo concreto su cosa e chi possiamo contare in questo momento per la crescita e la difesa del cyberspazio italiano, anche per permettere ad aziende come Aruba di continuare a crescere in maniera armonica“.
La sicurezza è un aspetto centrale e la possibilità di contare su Data Center dislocati sul nostro territorio significa indipendenza, controllo, autodeterminazione. La sovranità non va intesa in opposizione a ciò che è fuori dai confini, però: è un discorso, anzi, ben più ampio e orientato alla cooperazione internazionale. Così conferma il concetto Pierre Chastanet, Head of Unit Cloud and Software DG Connect della Commissione Europea all’intervistatrice, Tonia Cartolano: “Per entrare in una dimensione europea, è necessario un cambio di
paradigma: non ricostruire il modello hyperscale ma sfruttare l’approccio distribuito in Europa, federando le capacità europee di elaborazione dei dati“.
Non c’è sovranità e non c’è sicurezza senza un importante e non più procrastinabile salto culturale, però. Soprattutto in Italia. “La cybersecurity non si delega“, ha ricordato Baldoni: soltanto con una crescita complessiva della consapevolezza distribuita si potrà arrivare un giorno ad una situazione tale per cui una agenzia per la cybersicurezza non sarà più necessaria. Oggi, invece, lo è ed i suoi sforzi di coordinamento sono comunque insufficienti a fronte delle lacune che fasce troppo ampie della popolazione (e di conseguenza delle aziende) manifestano. I pericoli si annidano nella disattenzione, nel carente senso critico di fronte ai pericoli, negli strumenti personali del lavoro digitale, nella mancata formazione circa i rischi che si corrono. La cultura è dunque un ingrediente fondamentale di cui l’Italia dovrà dotarsi per fare un necessario passo avanti.
I Data Center sono fondamentali, ma da soli non bastano: l’investimento di Aruba è una visione gettata oltre l’ostacolo, sviluppata durante il periodo della pandemia, pensata nel solco di una trasformazione digitale che è ormai avviata in modo incontrovertibile.
Il ruolo delle aziende ICT, come Aruba, è anche quello di stimolare un cambiamento non solo tecnologico ma anche culturale ed organizzativo. Il mezzo per farlo è il cloud che – attraverso nuovi approcci che lo rendano sempre più sostenibile, come il FinOps e il rightsizing – diventa fattore abilitante, mettendo in discussione i metodi aziendali tradizionali di controllo e dando vita ad una vera e propria rivoluzione grazie alla quale cambiano profondamente tutti i comportamenti ed i processi di governance.
Fabrizio Garrone, Enterprise Solution Director, Aruba Enterprise