“Internet non è una tecnologia che favorisce la libertà d’espressione. Non è una tecnologia che tutela i diritti umani. Piuttosto è una tecnologia che può essere sfruttata per mettere in piedi un regime totalitario basato sulla sorveglianza. Che non si era mai visto prima”. Parola di Julian Paul Assange, l’ormai arcinoto founder del sito delle soffiate Wikileaks. Dichiarazioni che hanno fatto rapidamente il giro del Web, in seguito ad una delle sue – ultimamente rare – apparizioni pubbliche alla britannica Cambridge University . Assange è stato decisamente cristallino: Internet rappresenterebbe un ostacolo alla libertà .
“Internet ci offre in qualche modo la possibilità di essere informati a livelli senza precedenti, in particolare sulle attività dei vari governi – ha continuato Assange – ma è anche la più grande macchina di spionaggio che il mondo abbia mai visto”. Uno strumento usato dai governi del pianeta per controllare .
Il founder di Wikileaks ha portato degli esempi, primo fra tutti quello relativo ad un gruppo di dissidenti che avevano dato avvio ad una rivolta in Egitto. Vicenda risalente ad alcuni anni fa, scatenatasi grazie ad un social network come Facebook. Secondo Assange, lo stesso sito in blu era stato sfruttato dalla polizia locale per identificare, arrestare, torturare .
E Wikileaks? Non è forse parte del vasto ecosistema di Internet? Assange ha sottolineato come il suo sito abbia avuto un ruolo cruciale nel dare inizio alla rivolta popolare in Medio Oriente. Il sito delle soffiate agirebbe nel lato buono della Rete, offrendo ai netizen nuove possibilità di conoscenza e informazione.
Il founder – attualmente in appello per contestare la sentenza d’estradizione in terra svedese – è poi intervenuto nel corso di un programma del broadcaster australiano ABC . Chiedendo al primo ministro aussie Julia Gillard di rispondere alle voci circa un suo viaggio negli Stati Uniti per la consegna di informazioni personali relative a diversi cittadini legati a Wikileaks .
Assange ha dunque sottolineato come si possa ora ipotizzare un alto tradimento da parte delle autorità aussie , non affatto attente agli interessi del proprio paese. Il primo ministro Gillard ha però rigettato ogni accusa, sostenendo di non essere a conoscenza di alcun passaggio di informazioni verso gli Stati Uniti.
Mauro Vecchio