Truffa ed esercizio abusivo di attività giuoco e scommessa, sono questi i reati che la Procura della Repubblica di Milano ha contestato ai gestori di due – o forse più – tra i più popolari siti di c.d. aste al ribasso online: www.bidplaza.it e www.youbid.it . Nell’ambito dell’inchiesta i siti delle case d’aste online sono stati posti sotto sequestro dalla Guardia di Finanza. La notizia giunge forse in ritardo ma non certamente inaspettata.
In pochi anni, infatti, le c.d. aste al ribasso hanno letteralmente spopolato nel mercato online italiano, attirando un numero sempre più elevato di utenti – è d’altra parte noto che in tempo di crisi l’inclinazione al gioco ed alla scommessa aumenta – e, soprattutto, raccogliendo milioni e milioni di euro. Non sono noti i numeri ufficiali relativi alla raccolta di denaro effettuata attraverso tali piattaforme ma se si considera che attraverso il gioco legale online, nel 2009, si sono raccolti secondo l’Agenzia Autonoma dei monopoli di Stato oltre 3,5 miliardi di euro, è facile farsi un’idea dell’ordine di grandezza del valore del mercato.
Ma andiamo con ordine e proviamo a riflettere sul perché a distanza di anni dal debutto di queste “piattaforme di gioco”, finalmente, qualcuno ha deciso di intervenire.
L’asta al ribasso è un metodo commerciale noto – in genere si parla di asta all’olandese – diffuso e perfettamente lecito nell’ambito del quale, al contrario di quanto accade in un’asta tradizionale – o al rialzo – si aggiudica il bene bandito chi formula l’offerta più bassa. Nella dinamica d’asta tuttavia, che si tratti di un’asta al ribasso o, piuttosto, al rialzo, l’alea è ponderata ed il perseguimento del risultato – l’aggiudicazione del bene – passa esclusivamente attraverso la caparbietà, la determinazione e la volontà del partecipante di superare costantemente e per ultimo, la migliore offerta – verso l’alto o piuttosto verso il basso – a lui nota.
Le “case d’asta” al ribasso online diffusesi negli ultimi anni in Rete hanno, invece, modificato tale tradizionale dinamica, introducendovi tre significative novità:
(a) il valore dell’offerta più bassa (e dunque quella che “tiene il gioco”) non è nota ai partecipanti all’asta che, dunque, sono costretti a “rilanciare” – ma a me sembra più corretto dire “a puntare” – sostanzialmente alla cieca come accade, più o meno, al tavolo della roulette;
(b) per aggiudicarsi il bene bandito non è sufficiente formulare l’offerta più bassa ma occorre altresì che nessun altro abbia fatto – o faccia prima della chiusura dell’asta – un’identica offerta. All’aggiudicazione, infatti, si perviene, attraverso la formulazione dell’offerta unica più bassa;
(c) i gestori dei siti – che amerebbero esser definiti banditori d’asta ma che la Procura della Repubblica di Milano ipotizza siano, piuttosto, “biscazzieri” – si rendono disponibili ad “aiutare” l’utente nell’indovinare quale sia l’offerta – o piuttosto la puntata – vincente, fornendo, dietro pagamento di un importo contenuto ma destinato a lievitare rapidamente proprio come accade davanti ad una slot machine, quello che viene definito “pacchetto di informazioni” ma che, in realtà, non è nient’altro che la doverosa risposta alla puntata: “la tua offerta è la più bassa ma non è unica”, “la tua offerta è unica ma non è la più bassa” o, per i più fortunati “la tua offerta è, per il momento, l’offerta unica più bassa”.
È evidente – e questo sembra essere anche il convincimento della Procura della Repubblica di Milano – che attraverso tali “ritocchi” alla dinamica dell’asta al ribasso, gli intraprendenti cyberbiscazzieri aspiranti banditori d’asta sui generis, vi abbiano inserito una percentuale di alea – ovvero di rilevanza della casualità sull’abilità – sensibilmente superiore a quella propria di un’asta e piuttosto caratteristica del gioco d’azzardo.
Tenuto tuttavia conto che nel nostro Paese il gioco d’azzardo online è, in linea di principio, vietato salvo taluni giochi – i c.d. skill games – esercitabili ma previa autorizzazione da parte dell’Agenzia Autonoma dei Monopoli di Stato e la sottoposizione della piattaforma a stringenti e penetranti controlli, ben si comprende perché la Procura della Repubblica di Milano abbia contestato ai gestori delle case d’asta d’azzardo online il reato di esercizio abusivo di attività di giuoco e di scommessa.
C’è, semmai, da chiedersi perché si sia aspettato così tanto e perché, ancora, vi siano numerose “case d’asta al ribasso” operanti nella Rete italiana.
Meglio tardi che mai, tuttavia e, quanto alle “case d’asta al ribasso” ancora aperte è, probabilmente, solo questione di tempo.
I P.M. milanesi, tuttavia, hanno contestato ai gestori delle case d’asta, anche, il reato di truffa.
Non è noto, per ora, in cosa la Procura abbia ritenuto di individuare il carattere fraudolento dell’attività svolta su tali piattaforme ma possono formularsi un paio di ipotesi.
La prima è che i PM abbiano rintracciato gli estremi del reato di truffa nella circostanza che i gestori delle case d’asta, abbiano, fraudolentemente – magari proprio attraverso il ricorso all’espressione “asta” ed alla “scenografia” realizzata – indotto gli utenti dei propri siti a ritenere di partecipare ad un’asta mentre, in realtà, si ritrovavano poi coinvolti in un autentico gioco d’azzardo.
Una seconda ipotesi potrebbe invece consistere nella circostanza che i biscazzieri mascherati da banditori d’asta abbiano, in qualche modo, “alterato” il naturale meccanismo di funzionamento del proprio gioco per come rappresentato nelle condizioni generali di contratto fatte accettare agli utenti, allo scopo di trarre un maggior utile o, magari, di favorire taluni partecipanti in danno di altri.
Sin dall’esordio del gioco nella Rete italiana, infatti, c’è una domanda che gli osservatori si pongono con insistenza: come potevano i banditori d’asta permettersi il lusso di mettere all’asta una Porsche da 70/80mila euro con il rischio che solo un pugno di utenti si risolvessero a partecipare all’asta e che, dunque, dovessero “aggiudicare” un bene di così elevato valore a fronte di ricavi marginali o, comunque, modesti?
Difficile trattenere il sospetto che i beni venissero aggiudicati – magari proprio attraverso qualche artificio o raggiro – solo dopo che i ricavi avessero raggiunto un importo almeno superiore al valore del bene.
Troppo presto per dire se giustizia è fatta o quasi fatta ma l’auspicio è che se – come appare verosimile – a dover essere ritenuto fraudolento è il “modello di business” o, piuttosto di gaming nel suo complesso, tutte le analoghe piattaforme di gioco ricevano eguale trattamento: lasciarne sopravvivere alcune e chiuderne altre significherebbe aggiungere al danno la beffa di veder arricchire qualche biscazziere in danno di altri ma, soprattutto, degli utenti e consumatori.
È ovvio, infine, che i gestori delle case d’asta al ribasso – se l’ipotesi dell’accusa risultasse fondata – dovranno prepararsi a restituire agli utenti il maltolto e che starà a giudici e associazioni di consumatori fare del loro meglio perché non accada che tutto si concluda in una bolla di sapone con una condanna “virtuale” a carico di biscazzieri frattanto trasferitisi all’estero a godersi i risparmi degli italiani in qualche paradiso tropicale dopo aver “svuotato le tasche” delle scatole societarie attraverso le quali hanno, sin qui, promesso sogni e distribuito debiti…
Il rispetto del diritto in Rete va affermato in occasioni come questa in cui per anni gli interessi di milioni di consumatori ed utenti son stati lasciati in balia di “banditori d’asta d’azzardo” oltre che quando si tratta di tutelare i diritti di proprietà intellettuale dei soliti noti o, piuttosto, di verificare che nessuno dica online una parola di troppo.
Guido Scorza
Presidente Istituto per le politiche dell’innovazione
www.guidoscorza.it