Il Pentagono ha concluso che gli attacchi informatici provenienti da un altro paese possono costituire un atto di guerra. In quanto tale passibile di risposte militari tradizionali.
La dottrina statunitense in materia di uso della forza e risposta militare proporzionata è sempre stata oggetto di ampie interpretazioni, adattata di volta in volta sia al ruolo di poliziotto internazionale assunto negli anni da Washington, sia alle esigenze della difesa, degli interessi e della sicurezza del Paese che, da ultimo, con la lotta al terrorismo ha dato origine alla teoria della guerra preventiva. Oltre che dai fenomeni che comunemente vengono abbracciati dalla definizione di terrorismo, i pericoli per la sicurezza nazionale vengono ora tuttavia dal mondo digitale. Basta pensare alle paure innescate dal recente attacco subito dal contractor della Difesa Lockheed Martin .
Proprio con il terrorismo, d’altronde, la cyberguerra ha non pochi punti in comune: può essere portata a termine anche da singoli o comunque da gruppi organizzati, non ha bisogno di ingenti spiegamenti di forze o risorse e può colpire qualsiasi obiettivo in qualsiasi momento.
Il Pentagono, così, è arrivato ad aprire alla possibilità di offrire risposte tradizionali agli attacchi informatici, considerati veri e propri atti di guerra .
E lo ha fatto divulgando le prime linee contenute in documenti ancora riservati (di cui si aspetta una divulgazione nei prossimi mesi) relativi alla prossima strategia informatica ufficiale. E senza mezze misure: “Se spegni la nostra rete elettrica – dice un ufficiale militare ad un ipotetico aggressivo smanettone – potresti trovarti con un missile nella canna fumaria”.
A parte la boutade , l’esercito degli Stati Uniti cerca di delineare un approccio più formalizzato ai cyber attacchi : fra le domande a cui occorre rispondere, quanta sicurezza si potrà avere sull’origine di un determinato attacco e di che entità deve essere per costituire un atto di guerra. Su questo secondo punto si torna a parlare di proporzionalità: se l’attacco informatico provoca ingenti danni e vittime, allora è un serio candidato ad una risposta tradizionale.
Il passo degli Stati Uniti, in ogni caso, potrebbe anche significare l’inizio di un dibattito in materia a livello internazionale, ambito che, come nel caso di conflitti tradizionali, è destinato a delinearne forme e condizioni.
L’esigenza è sentita anche fuori dagli Stati Uniti: per esempio anche il Regno Unito sta pensando sempre più concretamente ad un programma di cyberarmi per dotarsi di contromisure alle eventuali minacce tese alla sicurezza nazionale informatica .
Claudio Tamburrino