Il problema ricorre spesso, anzi troppo. Una volta che una persona viene inserita in una pagina web per un fatto di cronaca, una sentenza o altro episodio di qualsiasi natura, il rischio è sempre lo stesso: restarci a lungo, restarci contro la propria volontà, affrontare impensabili gincane per essere cancellato.
C’è chi ambisce ad essere presente in rete, ma una larga fetta di persone combatte per non esserci. O per lo meno, se viene pubblicato un proprio dato, combatte perché non resti vita natural durante on line. Con enorme frequenza la questione bussa alla porta del Garante privacy e riguarda non tanto la pubblicazione di un dato, quanto la durata di pubblicazione del medesimo dato. Perché una volta che si è in rete, è difficile uscirne.
Recentemente è stato pubblicato sul sito del Garante per la protezione dei dati personali, il volume Privacy e giornalismo. Diritto di cronaca e diritti dei cittadini . Nel volume (voluminoso, considerate le quasi 400 pagine tra considerazioni e pronunce) una larga sezione viene dedicata al cosiddetto diritto all’oblio (il diritto di una persona a non essere più ricordata pubblicamente anche a distanza di molti anni), alla pubblicazione e conservazione di dati inerenti alle persone ed all’obbligo del rispetto del principio di essenzialità dell’informazione stessa.
Tale principio obbligherebbe chi pubblica una notizia a diffondere solo le informazioni strettamente necessarie e funzionali all’interesse pubblico, senza scivolare nella morbosità di dettagli e specifiche che vanno oltre a quanto realmente indispensabile. Si pensi alla notizia relativa ad una violenza carnale: la vicenda di per sé può avere rilievo sociale, non altrettanto l’indicazione dei dati della vittima, la quale al contrario trarrebbe un forte svantaggio dalla pubblicazione dei propri dati. Immettere una notizia in rete può voler dire non riuscire più a controllarla. Anche laddove la pubblicazione su una pagina di un sito avvenga per un arco di tempo ristretto (ipotesi rara, considerato che molti siti puntano ad avere ricchissimi database senza anonimizzazione dei dati personali), l’indicizzazione che operano i motori di ricerca renderà inutile ogni politica restrittiva che non abbia tecnicamente operato alla base per evitare a certi dati di finire nei motori di ricerca.
Sotto questo profilo il suggerimento riguarda indubbiamente la necessità di adozione da parte di chi gestisce siti di informazione, criteri di esclusione e limitazione in modo selettivo, di pagine web o parti di esse, adottando politiche specifiche in particolare in relazione all’inserimento dei codici per la visualizzazione delle pagine da parte dei motori di ricerca.
Tornando al tema sostanziale ovvero al cosiddetto diritto all’oblio, altro aspetto da considerare è che la pubblicazione di un dato riguardante una realtà personale può condizionare il futuro di una persona. Mettiamo anche che un soggetto abbia subito una condanna penale anni fa e che venga pubblicata in rete la sentenza (di sua natura pubblica): una volta riscattata la propria libertà, una volta pagato il debito con la società è forse giusto che rimangano più tracce in rete del proprio errore, che sulla fedina penale?
C’è dunque anche da considerare l’elemento tempo, e quanto la pubblicazione o il permanere di dati a distanza di tempo sulla rete possa cagionare un danno pressoché irreparabile.
A valutare il volume della casistica che si sta oggi proponendo sempre più considerevolmente, verrebbe da concludere che la nostra normativa privacy è ancora lontana dall’imporre dei limiti di effettiva salvaguardia dei diritti della persona rispetto alla rete, lasciando ad una Autorità Indipendente quale il Garante privacy ed alla Autorità Giudiziaria poteri/doveri che non sempre sono supportati dall’attuale Codice privacy, che modificato aggiornandone gli obblighi per i gestori dei siti, potrebbe evitare ad ogni cittadino il rischio di trovarsi per sempre impigliato nella rete.
Avv. Valentina Frediani
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