Un mercato che evolve, l’impellente esigenza di contenere gli scambi di contenuti digitali, la scelta di una soluzione modellata su quella francese, fatta di disconnessioni temporanee per impensierire i cittadini della rete che muovano online senza ricompensare equamente i detentori dei diritti. Questo il quadro rappresentato dagli attori dell’industria al cospetto del Comitato tecnico contro la pirateria digitale e multimediale . Un quadro solo apparentemente uniforme: se a muovere l’industria sono le stesse istanze, sono sensibilmente diversi i percorsi con cui i detentori dei diritti auspicano di perseguire l’obiettivo di una più stringente tutela.
Il Comitato, sollecitato ad ampliare il raggio del dibattito, ha indetto i round delle audizioni. Il primo blocco ad esprimersi è stato quello dell’industria dei contenuti: musica, video, TV, videogiochi. Venti minuti a testa per giocare le proprie carte. Campeggiano sul forum del Comitato le analisi e le proposte di FIMI e di AESVI , di ANICA e FAPAV .
Il leitmotiv è rappresentato dalle peculiarità di un mercato italiano che non sembra recepire appieno e in maniera fruttuosa le opportunità offerte dalla rete. Lo sottolinea FIMI, l’industria della musica. Un fatturato in Italia pari a 178 milioni di euro è il dato messo sul piatto dalla Federazione, una cifra in calo del 21 per cento rispetto al 2007: il CD vale ancora per il 90 per cento del mercato , mentre cresce timidamente la “musica liquida”, con un 15,7 del fatturato attribuibile ai download dalla rete. Le ragioni di una crescita dell’online meno dirompente rispetto all’ estero sarebbero da imputare al digital divide in cui si dibatte l’Italia. E alla pirateria: 1300 file per ogni computer, ricorda FIMI, il 23 per cento dei cittadini della rete italiani attinge al P2P (sei milioni), un dato che non si differenzia troppo da quello stimato per lo scorso anno. Solo il 3 per cento dei downloader, ricorda FIMI con dei dati 2007, sarebbe incoraggiato ad acquistare più musica , il 32 per cento sostituirebbe i download all’ascolto, mentre per il 65 per cento la spesa profusa per la musica rimarrebbe la stessa , P2P o meno.
È invece un mercato in dinamica evoluzione, quello dell’ industria del videogioco : nel 2007 il fatturato è cresciuto del 39,9 per cento, grazie anche alla leva della connettività . Si sono affacciati sul mercato nuovi modelli distributivi e nuovi modelli di business, nuove possibilità di stimolare i gamer a partecipare online e a investire nelle attività che li appassionano. AESVI sottolinea come il target dell’industria sia progressivamente più trasversale: è vero altresì che le soluzioni per il gaming mediate dalla rete sembrano rivolgersi ad un pubblico che ha dimestichezza e mezzi per operare online e che nonostante ciò si sia riscontrato in Italia una propulsione alla crescita minore rispetto ad altri paesi europei. Ci sono la pirateria e i sistemi di aggiramento delle protezioni, illustra AESVI al Comitato, a imbrigliare l’ascesa dell’industria del gaming.
Concorda FAPAV per il settore audiovisivo . “Più dell’80 per cento dei film – lamenta l’associazione nel documento presentato al Comitato – è disponibile in rete su siti addirittura già dal secondo giorno di programmazione cinematografica”. FAPAV snocciola dati per comparare il mercato legale italiano con il mercato sommerso: su scala internazionale i traffici illeciti che si intessono in Italia incidono più del doppio rispetto a quelli legali , vale il 5 per cento il contributo dell’Italia nell’alimentare il mercato legale, mentre si rende protagonista del 13 per cento dei download. Download nel quale, sottolinea FAPAV citando un recente studio che mette in relazione il mercato illegale dell’audiovisivo con le trame delle organizzazioni terroristiche, “il Crimine Organizzato è sempre più coinvolto”. Le soluzioni snocciolate dall’industria dei contenuti? La parti coinvolte nel Comitato avevano già mostrato di simpatizzare per il modello francese, e i detentori dei diritti si accodano, affiancando alle soluzioni repressive delle misure informative e destinate alla sensibilizzazione.
A proporre la combinazione delle due strategie è FAPAV, che invita alla “creazione di un sistema per l’invio di warning educativi agli utenti informandoli che i loro account vengono utilizzati per violare i diritti di proprietà intellettuale, spiegando quelle che sono le conseguenze del persistere in tali azioni illecite e includendo un sistema sanzionatorio proporzionato e di effettiva deterrenza per i recidivi”. Si tratta di un obiettivo, spiega l’associazione, che sembra dover passare per un accordo fra le parti in causa e il consenso informato dei cittadini della rete. A giocare un ruolo fondamentale dovrebbero essere i provider, coinvolti non solo nell’identificazione dei responsabili, ma anche nell’ operare attivamente in rete , con la “rimozione ed il filtraggio di link per il downloading e la fruizione di file illeciti, bloccandone la distribuzione alla fonte”, a seguito di una segnalazione “debitamente motivata da parte di enti predisposti alla tutela dei diritti di proprietà intellettuale”. A tale proposito, FAPAV raccomanda lo studio di “tecnologia(e) di filtraggio e di impronte che permettono alle reti di operare in modo non invasivo grazie all’identificazione e al blocco del materiale all’origine della violazione, senza interrompere l’attività lecita”.
A proporre un meccanismo di avvertimenti e disconnessioni è anche AESVI, che nel contempo analizza gli attriti che potrebbero presentarsi sul piano legislativo nell’implementazione di un sistema alla francese. Lo aveva già sottolineato in maniera piccata la International Intellectual Property Alliance ( IIPA ) nel proprio report annuale: le disposizioni a tutela della privacy del cittadino e l’ implementazione italiana della Direttiva 31/2000 sul commercio elettronico che stabilisce i confini della responsabilità dei provider costituiscono un intralcio all’enforcement in rete dei diritti di proprietà intellettuale.
AESVI non esclude l’intervento del legislatore: auspica che il Governo “possa rimuovere gli ostacoli normativi che attualmente limitano la co-operazione tra Internet Service Provider e titolari dei diritti di proprietà intellettuale per la repressione delle violazioni online, in particolare eliminando il requisito della necessità di un provvedimento dell’autorità giudiziaria previsto dal D. Lgs. n. 70 del 2003”. Auspica altresì che all’industria venga concessa la possibilità di dotarsi di strumenti che consentano ai detentori dei diritti di svolgere una “legittima attività di monitoraggio online”. Nel contempo, si dovrà negoziare con i provider : i fornitori di connettività dovrebbero rendersi disponibili a “conservare le informazioni necessarie per favorire l’identificazione degli utenti che hanno reiteratamente violato i diritti di proprietà intellettuale”, a ricevere segnalazioni da parte dei detentori dei diritti e a inoltrare le notifiche ai propri utenti, ad agevolare per i netizen la possibilità di sottomettere una contro-notifica per difendere la propria posizione. Non si tratterebbe però di introdurre sistemi di filtering o di fingerprinting: AESVI segnala che soluzioni di questo tipo potrebbero “porre rischi alla privacy, all’innovazione o avere possibili effetti negativi sull’efficienza della rete stessa”.
Le proposte di FIMI si dipanano verso gli stessi obiettivi, ma con strumenti sensibilmente diversi: oltre a sollecitare il Comitato ad incentivare le alternative legali al P2P, oltre alla proposta di legge in fase di discussione oltralpe, si ripercorrono le esperienze di altri paesi come Regno Unito , Giappone e Nuova Zelanda . I discografici suggeriscono di sensibilizzare magistratura e cittadini riguardo all’impatto della normativa che tutela il diritto d’autore. Si vorrebbe introdurre “una previsione amministrativa connessa all’illecita immissione in rete di contenuti protetti dalla legge sul diritto d’autore che preveda la disconnessione immediata dalla rete”: FIMI suggerisce un meccanismo simile al DASPO che vige nell’ambito delle manifestazioni sportive, una “disconnessione immediata dalla rete, per un periodo temporale determinato, con provvedimento del questore”, che avvenga su segnalazione delle forze dell’ordine , con la mediazione dunque delle istituzioni, a differenza di quanto auspicato da altri attori.
Si è trattato del primo round di audizioni: le seconda convocazione coinvolgerà provider e industria del software, operatori di piattaforme online, alcune associazioni di consumatori e editori. I cittadini della rete, nel contempo, rumoreggiano: l’associazione ScambioEtico , che in più occasioni si è rivolta alle istituzioni per chiedere un ripensamento del regime a tutela del diritto d’autore, ha postato sul forum del governo una lettera aperta che ha assunto i contorni di una petizione . I firmatari chiedono la liberalizzazione dello sharing delle opere che abbiano esaurito il loro ciclo commerciale, chiedono “l’istituzione di un sistema di licenze collettive che legalizzino le condivisioni telematiche non a scopo di lucro” ma a scopo promozionale e per favorire la circolazione della cultura. Chiedono di poter prendere parte al dibattito.
Gaia Bottà