Australia, filtri meno filtranti?

Australia, filtri meno filtranti?

Il ministro delle Comunicazioni si rimangia l'obbligatorietà dei filtri per i provider e promette più trasparenza nella gestione delle liste nere. Ma non conferma le nuove promesse
Il ministro delle Comunicazioni si rimangia l'obbligatorietà dei filtri per i provider e promette più trasparenza nella gestione delle liste nere. Ma non conferma le nuove promesse

La maglie del sistema di filtraggio di stato previsto dalla autorità australiane potrebbero allargarsi, farsi più lasche: la disapprovazione da parte dei cittadini della rete e dei provider che dovrebbero implementarli potrebbe aver fatto tornare sui propri passi il ministro delle Comunicazioni. Che ora sembra ammettere che si possa allestire un sistema di filtri che i provider possono decidere di adottare senza alcun obbligo.

I setacci di stato voluti dall’Australia erano stati pensati per essere irrevocabili : tutti i fornitori di connettività del paese avrebbero dovuto adottarli per garantire ai propri utenti di bazzicare in una rete irreprensibile e epurata dai contenuti che avrebbero potuto turbare i netizen più sensibili.

Le prime sperimentazioni non avevano offerto riscontri incoraggianti : nonostante l’Australia avesse disposto di investire somme cospicue nel progetto, la prima fase di test comprovava l’ inefficacia dei filtri, ne sottolineava l’eccessiva solerzia misurata in un numero consistente di falsi positivi, mostrava impietosamente come il filtraggio potesse ridimensionare le performance delle infrastrutture di rete.

Le falle dei filtri non erano rappresentate da soli aspetti tecnici: i cittadini della rete hanno a lungo rumoreggiato perché le autorità avevano previsto che i filtri erigessero delle palizzate per tentare di tenere lontani i cittadini non solo dai contenuti di natura illegale, ma anche da contenuti quali certa pornografia e certa informazione . La lista nera mantenuta dall’ Australian Communications and Media Authority , trapelata in rete a seguito di un reverse engineering operato da un cyberdissidente locale, aveva mostrato come i criteri di gestione della blacklist dei siti proibiti fossero quantomeno discutibili.

I provider si erano così mostrati decisi a difendere il diritto alla libera navigazione dei loro abbonati: avevano promesso ostruzionismo. Sono ora nove gli ISP che ora partecipano alla sperimentazione sul campo, coinvolgendo anche i propri abbonati.

Ma le autorità, nella fattispecie il ministro delle Comunicazioni Stephen Conroy, sembra aver gettato le basi per una timida marcia indietro. Conroy ha risposto in Senato all’interrogazione del ministro del governo ombra Nick Minchin, già schieratosi contro l’avvento dei filtri: Conroy ha suggerito che i filtri potrebbero essere introdotti con l’ adesione volontaria da parte dei provider, senza dover scomodare il legislatore. Il ministro ha altresì promesso maggiore trasparenza nello stilare la lista nera e nei criteri per determinare quali siti risultino inadatti per i cittadini della rete australiani.

Ma non tutti i netizen australiani sembrano incoraggiati dal cambio di fronte di Conroy. A premere per una rete filtrata e epurata da contenuti ritenuti sconvenienti sono certe fronde della società civile come quelle rappresentate dalla Australian Christian Lobby : Conroy si starebbe rimangiando le promesse fatte in campagna elettorale, starebbe rinunciando a un sistema di filtri obbligatori e automatici a favore di una rete immorale e minacciosa. Conroy non sembra ora disposto a confermare che i filtri obbligatori possano trasformarsi in una sistema adottato a discrezione dei provider.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
28 mag 2009
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