200mila dollari australiani (circa 164mila euro): è la pena pecuniaria stabilita dalla giustizia australiana a Google dopo la condanna per diffamazione a danno di un utente del motore di ricerca.
Si chiude dunque una vicenda rilevante per l’interpretazione giuridica relativo alla diffamazione operata attraverso i risultati di ricerca dei motori di ricerca: Google è stato considerato dai giudici non come mero aggregatore, bensì alla stregua di un editore in grado di discernere tra i contenuti trattati. Non a caso, David Beach, magistrato che ha imposto il pagamento della multa, così ha motivato la propria decisione: “Google è come il giornalaio che vende un giornale contenente un articolo diffamatorio”.
Dunque, se per la Corte non c’è stata una specifica intenzione di pubblicare materiale diffamatorio ai danni di Milorad Trkulja, ai sensi della legge sulla diffamazione esiste la chiara intenzione da parte dell’aggregatore di pubblicare risultati di ricerca che riportano contenuti contestati.
Dal canto suo, Google insiste nel sostenere di non essere responsabile per il materiale pubblicato da altri, ammettendo la possibilità di ricorrere in appello.
Cristina Sciannamblo