Fornire l’accesso a Internet significa agevolare la pirateria: la denuncia degli studios si è abbattuta su uno dei maggiori provider australiani, responsabile a loro dire di agevolare la pirateria non impedendo ai netizen di accedere ai contenuti condivisi senza il consenso dei detentori dei diritti.
Il bersaglio dell’industria di una manciata di studios è il provider australiano iiNet: la Australian Federation Against Copyright Theft (AFACT) ha comunicato che Village Roadshow, Universal Pictures, Warner Bros Entertainment, Paramount Pictures, Sony Pictures Entertainment, Twentieth Century Fox, Disney e i detentori australiani delle loro licenze hanno sporto denuncia perché l’ISP non avrebbe messo in campo “le ragionevoli misure per prevenire il noto utilizzo di copie dei film e dei programmi televisivi delle aziende da parte dei suoi clienti e attraverso il suo network”.
Non avrebbe acconsentito a minacciare gli utenti della disconnessione , non avrebbe acconsentito ad approntare sistemi per arginare il traffico che fluisce attraverso certi protocolli. E nel contempo trarrebbe profitto dal comportamento degli utenti : nonostante nel contratto che stipula con gli abbonati spieghi che non è permesso utilizzare la connettività per violare la legge, il provider continuerebbe a racimolare denaro da cittadini della rete che infrangono il diritto d’autore. “iiNet si è rifiutata di gestire questi comportamenti illeciti e non ha fatto nulla per prevenire le ripetute violazioni da parte degli utenti recidivi – ha denunciato Adrianne Pecotic, a capo di AFACT – iiNet è obbligata dalla legge a prevenire ulteriori violazioni del copyright di cui è a conoscenza commesse attraverso la sua rete”.
Ma iiNet ha replicato , assicurando che l’azienda non supporta in nessun caso la pirateria, che già si adopera per promuovere alternative legali, che ha sempre collaborato con l’industria e con le forze dell’ordine per sgominare i traffici di contenuti. L’ISP, spiega il COO Mark White, non può agire da poliziotto e da giustiziere, disconnettendo i suoi utenti perché l’industria dei contenuti sostiene che si intrattengano con il download illegale. “Ci mandano una lista di indirizzi IP e ci dicono che il tale indirizzo IP è stato coinvolto in una violazione nella tale data – racconta il CEO Michael Malone – noi non possiamo che chiedergli che ne vogliano fare e comunicargli che non possiamo rivelare i dettagli o sbattere fuori l’utente sulla base di una semplice accusa”. “In quel caso – spiega Malone – non si può che informarli che se stanno formulando un’accusa noi passeremo i dati alla polizia”. “Non siamo poliziotti del traffico di rete, non possiamo piazzarci in mezzo e fermare i singoli pacchetti che possono violare la legge – rivendica Malone – questi tizi ci stanno chiedendo di essere giudice, giuria e boia”.
Malone si è già espresso con risolutezza nei confronti dei filtri di stato che dovrebbero imbrigliare i contenuti illegali e inappropriati che scorrono in rete. Con altrettanta durezza manifesta la propria opinione riguardo all’industria dei contenuti: “penso che siano davvero convinti che gli ISP abbiano una bacchetta magica segreta che gli stiamo nascondendo, e che credano che se decidessimo di estrarla potremmo far scomparire la pirateria. Bene, questa bacchetta non esiste”. In rete qualcuno teme che siano gli studios a poter sfoderare una stregoneria: i filtri per i contenuti inadatti potrebbero essere estesi ai contenuti che circolano senza l’autorizzazione dell’industria.
Gaia Bottà