Ad essere coinvolti sono alcuni tra i principali provider in terra australiana, pronti ad imporre un imponente meccanismo di filtraggio a schiere di netizen agli antipodi del web. Una strategia del tutto volontaria, già incoraggiata in passato dall’ attivissimo ministro per le Comunicazioni Stephen Conroy.
A partire dal prossimo mese , ISP come Telstra, Optus e Primus inizieranno a bloccare gli accessi per spazi online legati a tutti quei contenuti indicati dal governo aussie nella lista Refused Classification (RC). Si parla di 500 siti il cui destino pare segnato a causa di attività illecite come la distribuzione di materiale pedopornografico.
Lo schema di filtraggio è infatti nato per lottare contro lo sfruttamento dei minori per scopi pornografici, con centinaia di siti identificati dai vertici dell’ Australian Communications and Media Authority (ACMA) in una lista rimasta nell’oscurità. I provider agiranno ora da braccio armato delle autorità di Canberra.
Proprio questa segretezza – non è dato sapere quali URL sono coinvolte – ha suscitato scetticismi da parte di organizzazioni come Electronic Frontier Foundation (EFF). Chi assicurerebbe i netizen australiani che nessuna copertina rock pruriginosa non venga fatta fuori da Wikipedia?
Pare che nessuno dei siti coinvolti abbia mai avuto la possibilità di contestare il proprio coinvolgimento. Il governo australiano pare ormai determinato, sbandierando la causa della lotta alla pedopornografia. Ma in passato un sito di uno studio dentistico è finito nella classifica dei cattivi della Rete.
Mauro Vecchio