La sperimentazione potrebbe restituire risultati falsati dall’esiguo campione su cui vengono raccolti i dati. Proprio per questo c’è chi chiede trasparenza: la battaglia australiana tra sostenitori e oppositori dei filtri per siti Internet ritenuti pericolosi sembra non placarsi.
Dopo la conclusione della prima fase di sperimentazione, completata a fine luglio, e la relativa soddisfazione espressa dai provider coinvolti, i test voluti dal ministro Conroy continuano a destare preoccupazioni e accendere discussioni.
Ancora una volta è il senatore liberale Nick Minchin a dare voce al popolo della Rete spaventato dalle possibili limitazioni di privacy causate dai filtri. Secondo Minchin , Conroy non è stato in grado di spiegare in base a quali parametri l’esito dei test ancora in atto sarà giudicato positivo o meno.
Inoltre, i test effettuati sui nove provider, non produrrebbero risultati significativi né rappresentativi, e la riprova sarebbe che uno di essi avrebbe convinto a partecipare solo 15 fra i suoi utenti.
Secondo Minchin, è arrivato il momento di concludere quella che lui definisce una “farsa” e di rendere pubblici i risultati dei test. Il motivo per cui ciò ancora non è avvenuto sarebbe, per il senatore australiano, la necessità di ammettere il fallimento del progetto, e tale ammissione imbarazzerebbe troppo il ministro Conroy.
In risposta a tali affermazioni, l’ideatore dei filtri ha fatto sapere tramite un portavoce che l’esperimento finirà entro settembre e solo allora verrà pubblicato un report completo. Dunque, la richiesta formulata da Minchin di interrompere i test non verrà accolta.
Resta ancora aperta la discussione su quali contenuti verrebbero bloccati dal filtro e sulla modalità che verrebbe usata per la compilazione della blacklist, nonostante la recente apertura del ministro, che ha acconsentito ad un uso volontario, e non più obbligatorio, dei filtri da parte dei provider.
Federica Ricca