Canberra (Australia) – C’è una piccola notizia che arriva dal paese dei canguri che, vista la tendenza dilagante in mezzo mondo ad aumentare i poteri di controllo sulle comunicazioni, diventa decisamente più interessante. L’Australia ha infatti varato un provvedimento che rende meno accessibili ai cybercop le caselle email degli utenti internet.
Stando a quanto approvato nel Telecommunications Amendment Bill 2004, normativa in cui si parla esplicitamente di intercettazione , le agenzie governative e le forze dell’ordine che ritengono di dover accedere ai contenuti delle email di una mailbox, laddove queste email non siano ancora state scaricate dall’utente, dovranno ottenere un mandato del magistrato. E questo ha notevoli conseguenze.
Fino ad oggi, infatti, per ravanare nelle email conservate dai provider sui propri server prima che l’utente indagato le scaricasse sul proprio computer, la polizia non doveva far altro che chiederne l’accesso al provider stesso.
Soddisfazione è stata epressa dalla divisione locale della Electronic Frontier Foundation , l’associazione che si batte per i diritti nell’era digitale, secondo cui “il mandato necessario per l’intercettazione pone maggiori salvaguardie rispetto ad una semplice richiesta di accesso. Questo perché (le forze dell’ordine, ndr.) non possono più entrare in caselle elettroniche per illeciti o reati minori, si deve trattare di un grave crimine “.
Va detto che in Australia già in passato alcune misure anti-terrorismo, che sono invece state approvate in altri paesi, come gli Stati Uniti, sono state più volte bocciate in Parlamento proprio perché ritenute eccessivamente invasive della riservatezza che vuole essere garantita il più possibile sulle comunicazioni personali. Come noto, negli USA, dopo il Patriot Act , i provider sono tenuti a fornire log e contenuti su semplice richiesta delle autorità di pubblica sicurezza.
Ma non tutti sono d’accordo che la decisione australiana sia la migliore. Secondo alcune dichiarazioni apparse sulla stampa locale, infatti, altri gruppi pro-privacy ritengono che. In questo modo, sia ancora troppo facile accedere alle comunicazioni di soggetti che non sono coinvolti direttamente nelle indagini. “Si potrebbe trattare – affermano – di familiari o colleghi che hanno avuto contatti con il soggetto di una indagine su questioni del tutto estranee”. La soluzione sarebbe quella di consentire l’accesso alle sole comunicazioni avvenute tra due soggetti coinvolti entrambi in una indagine.