Non solo contenuti illegali: pagine controverse e troppo mordaci convergono in una lista nera trapelata su Wikileaks. Dovrebbe trattarsi dell’indice dei siti proibiti che le autorità australiane hanno stilato per occultare agli occhi dei cittadini i contenuti che ritengono possano risultare sgraditi.
In Australia striscia da mesi la proposta di applicare un filtraggio generalizzato alla rete: con la collaborazione dei provider si innescheranno dei setacci di stato irrevocabili che agiranno sui contenuti illegali e si ergeranno delle palizzate che permettano ai cittadini più sensibili di schivare certi contenuti online. Le sperimentazioni sono già state avviate: i filtri intaccano la qualità del servizio, restituiscono troppi falsi positivi. Ma le istituzioni non demordono. Nonostante i provider mostrino ostruzionismo . Nonostante i cittadini della rete esprimano il proprio dissenso nei confronti di filtri che imbrigliano ciò che non dovrebbero imbrigliare.
È segreta la lista diramata ai gestori dei filtri da ACMA, l’autorità che gestisce la blacklist dei siti da rendere inaccessibili. Solo i fornitori delle tecnologie di filtering sono a conoscenza delle URL che vanno isolate, presto le conosceranno anche i provider ai quali la legge imporrà di implementare i filtri. Sono però espliciti i criteri sulla base dei quali i cittadini possono inviare le segnalazioni che ACMA ha l’incarico di esaminare e vagliare. I netizen temono che la blacklist possa estendersi ad annoverare pagine pienamente legali che ospitino contenuti destinati agli adulti e certi contenuti informativi . C’è chi ha messo alla prova le autorità australiane e ha dimostrato che il rischio è concreto : un attivista ha segnalato ad ACMA una pagina di Wikileaks dedicata a documenti che smascheravano delle blacklist adottate in altri paesi. ACMA ne ha accordato l’inserimento nella lista.
Ora la lista nera sembra essere trapelata online, ospitata da Wikileaks. Si tratta di un elenco di 2.395 pagine e siti web : pedopornografia reale o apparente, coprofagia e satira a sfondo religioso . E tonnellate del più ordinario materiale pornografico condito con pagine dedicate al gioco d’azzardo e non soltanto al business che vi ruota intorno. Vi figurano anche delle singole pagine di YouTube, video postati da account ora sospesi. Questo è quanto conterebbe il presunto indice dei siti che le autorità australiane ritengono sgraditi ai cittadini della rete.
“Un’enciclopedia condensata di depravazione e di materiale potenzialmente pericoloso, il peggiore incubo per un genitore preoccupato”: così ha definito la blacklist Bjorn Landfeldt, docente dell’università di Sydney che ha contribuito ad un report che avrebbe dovuto valutare la fattibilità del sistema di filtraggio. Conferma Electronic Frontiers Australia : “il governo si trova ora nella posizione poco invidiabile di dover compilare e distribuire una lista che include del materiale illegale e licenzioso e di pubblicizzare proprio questi siti in tutto il mondo”.
Ma non tutte le URL elencate attentano all’equilibro delle menti più malleabili: ci sono pagine informative , come la vetrina web di uno studio dentistico , ci sono le pagine di Wikileaks che rivelano le dinamiche dei filtri web in Danimarca.
Il ministro delle Comunicazioni Stephen Conroy è però intervenuto per condannare l’iniziativa: la lista avrebbe dovuto rimanere segreta per ragioni di sicurezza. Tanto più che “non si tratta della lista gestita da ACMA” in quanto, spiega, ACMA ha negato di aver analizzato certe URL contenute nell’elenco pubblicato da Wikileaks e “la blacklist di ACMA aggiornata alla stessa data conteneva 1061 URL”. “Sulla base delle attuali leggi – chiosa Conroy – la blacklist di ACMA include URL che facciano riferimento all’abuso sessuale di minori, alla violenza sessuale, all’incesto, alle bestialità e alle istruzioni dettagliate per commettere dei crimini”.
Conroy promette di indagare: “ogni cittadino australiano che sia coinvolto nella pubblicazione della lista rischia seriamente di dover affrontare un processo penale”. Non è dato sapere se la pagina di Wikileaks che contiene la presunta blacklist australiana sia ora stata annoverata fra le URL filtrate. Certo è che nessuno dei cittadini australiani della rete offre un link alla pagina di Wikileaks che contiene il documento: un link di troppo potrebbe costare loro sanzioni di oltre 5mila euro per ogni giorno di violazione.
Gaia Bottà