Sydney – Potrebbero non essere più solo le famiglie, che il governo ha già equipaggiato con inefficaci filtri , a selezionare ciò che del Web può passare per gli schermi di casa. Una proposta di legge presentata in senato nei giorni scorsi, a breve distanza dalle prossime elezioni, potrebbe spianare ulteriormente la strada ad un agire censorio e repressivo, giustificato con l’ urgenza di tutelare la sicurezza dei cittadini dall’incombere del terrorismo.
La proposta di legge ” Crime or Terrorism Related Internet Content “, riporta ZDNet Australia , si configura come un emendamento al codice delle comunicazioni locale, che già prevede una blacklist di siti proibiti, gestita dall’ Australian Communications and Media Authority (ACMA) per conto dei cittadini , con la collaborazione degli ISP. La proposta presentata dal ministro della comunicazioni Helen Coonan ( in foto ), passa ora anche agli ufficiali della Federal Police : a loro la responsabilità di aggiornare e rivedere la lista di siti banditi, per proteggere i netizen dalle esternazioni dei terroristi e dalle trappole tese dai criminali informatici.
Individuato un sito sospetto, che ritiene legato ad attività criminali o a gruppi terroristi, che ” ha ragione di credere ” possa incoraggiare o facilitare il compimento di attività criminali o che ” ha ragione di credere ” sia stato messo online con questo intento, l’ufficiale di polizia potrà decretarne il bando , comunicandolo all’ACMA, che a sua volta vigilerà sull’azione degli ISP, incaricati di “prendere tutti i provvedimenti per prevenire l’accesso al contenuto da parte dell’utente”.
Le associazioni per la difesa dei diritti civili, ancora libere di esprimere il proprio parere, si sono scagliate contro la proposta. L’ Australian Privacy Foundation non esita a sottolineare come il provvedimento possa soffocare la libertà di espressione dei cittadini, le cui opinioni in Rete rischiano di essere sottoposte al vaglio della polizia, libera di censurare contenuti sgraditi. Nemmeno le sfere istituzionali restano indifferenti al bill . È la senatrice Kerry Nettle, ambientalista, a sollevare il problema sulle pagine di AustralianIT : associazioni del calibro di Greenpeace in passato sono state accusate di azioni terroristiche e potrebbero incorrere nel bando, al pari di qualsiasi organizzazione che discuta di questioni politiche e sociali in termini invisi alle autorità .
“La proposta di legge” – fa eco Electronic Frontiers Australia (EFA) in una nota – è un ulteriore passo avanti della progressiva degenerazione dell’Australia in uno stato di polizia”: alle forze dell’ordine verrebbe consegnato uno strumento censorio che potrebbe essere maneggiato con superficialità , poiché le interdizioni possono basarsi su insinuazioni o rumors e non c’è modo di appellarsi alla decisione della Federal Police e chiedere la revoca del bando.
Inoltre, osserva sul suo blog Dale Clapperton, di EFA: “Il provvedimento fa riferimento a qualsiasi reato previsto dalle leggi del Commonwealth – anche a qualcosa di insignificante come le violazioni del copyright”. Se la proposta dovesse convertirsi in legge, prospettano gli utenti di Whirpool , potrebbe dunque esser impugnata come un’arma impropria, per sbaragliare indistintamente il P2P, legale o illegale che sia.
“Il governo – soggiunge Clapperton – sta semplicemente giocando la carta del terrorismo per scansare ogni critica nei confronti della proposta.” Una lettura della situazione condivisa dai netizen , che non intendono abdicare alla libertà di accesso alla Rete in nome di una minaccia sfumata, che si vuole combattere con metodi censori ed inefficaci.
Gaia Bottà