Autodisciplina parziale

Autodisciplina parziale

di Guido Scorza - Auto-disciplinare i diritti online degli utenti senza gli utenti. Il Governo propone, l'industria dovrà accettare ed utenti e cittadini rischiano di farne le spese
di Guido Scorza - Auto-disciplinare i diritti online degli utenti senza gli utenti. Il Governo propone, l'industria dovrà accettare ed utenti e cittadini rischiano di farne le spese

Lo scorso 12 maggio il Ministro degli Interni Maroni ed il Viceministro alle Comunicazioni Romani hanno presentato agli operatori Internet il testo della loro “Bozza definitiva” di “Codice di autodisciplina a tutela della dignità della persona sulla rete Internet” nonché quella del relativo “Protocollo d’intesa”.

Si tratta della prosecuzione dell’iniziativa già lanciata, nel dicembre dello scorso anno, dal Ministro Maroni, a seguito dei fatti di Piazza del Duomo a Milano: ieri come oggi, l’idea del Governo è quella di affiancare alla disciplina vigente una nuova regolamentazione capace di prevenire la commissione di illeciti a mezzo Internet e/o rimuoverne gli effetti.
È un obiettivo ambizioso e, forse – specie in ragione della “dimensione” solo nazionale nella quale affonda le proprie radici – utopistico, perché evidentemente sarà difficile, se non impossibile, indurre le grandi multinazionali della Rete ad aderirvi. In ogni caso, c’è da chiedersi quale sia il senso di dettare regole speciali per la “Rete italiana”, mentre il resto d’Europa e del mondo prosegue sulla sua strada.

Nel corso della riunione dello scorso 12 maggio, d’altra parte, fatta eccezione per i due giganti Google e Microsoft, non c’era nessuno degli altri grandi Web service provider stranieri. Mancava persino Facebook, ai cui servizi sono iscritti oltre 18 milioni di cittadini italiani.
Il governo, tuttavia, non sembra intenzionato a desistere ed appare anzi convinto che l’attuale regolamentazione italiana ed europea e la pur straordinaria collaborazione ormai da anni instauratasi tra forze dell’ordine e ISP non sia sufficiente a garantire il raggiungimento degli obiettivi sperati. Autodisciplina e co-regolamentazione, d’altro canto, sono linee di governance suggerite per le “cose della Rete” ormai da anni dall’Unione Europea e, dunque, è certamente legittimo ipotizzarne l’utilizzo anche nel nostro Paese. I documenti e l’iniziativa presentati lo scorso 12 maggio però, allo stato, sono lontani dal potersi dire giunti ad un adeguato grado di maturità e continuano ad evidenziare macroscopiche lacune e perplessità. Andiamo con ordine.

Innanzitutto non si può non rilevare che è una curiosa forma di “autoregolamentazione” quella che sta andando in scena nel nostro Paese: due Ministri della Repubblica predispongono una “bozza definitiva” di codice e la “propongono” agli operatori, auspicandone una rapida – un mese al massimo – adozione. A mia memoria è la prima volta che l’autoregolamentazione di un settore vede la luce da una penna di Palazzo Chigi!

La si chiami solo regolamentazione o, piuttosto co-regolamentazione, ammesso che gli operatori saranno effettivamente posti nella condizione di dire la loro come, per la verità, hanno garantito tanto il Ministro Maroni quanto il Viceministro Romani: non la si chiami però “autoregolamentazione” perché si sbaglierebbe e si rischierebbe di creare pericolose ambiguità anche nel rapporto tra operatori ed utenti.
È sin troppo evidente infatti che gli ISP che operano nel nostro Paese pur condividendo ovviamente la finalità perseguita dai due Ministri, non condividono – se non in minima parte – termini e modalità attraverso i quali il Governo “suggerisce” loro di perseguire detti obiettivi e ben difficilmente si sarebbero spontaneamente determinati ad “autoregolamentare” la propria attività nei termini di cui all’attuale bozza di Codice. Ma guardiamo oltre.

Il cuore del Codice di “autoregolamentazione” – nel senso già chiarito – è certamente rappresentato dall’obbligo che si vorrebbe assunto da tutti i “web service provider” di rimuovere tutti “i contenuti illeciti o potenzialmente lesivi della dignità umana”. Si tratta di una definizione davvero troppo ampia e generica perché possa rappresentare “sicuro approdo” nelle scelte di una moltitudine di imprenditori con sensibilità, filosofie, culture e tradizioni enormemente diverse le une dalle altre. Tra il lecito e l’illecito e, a maggior ragione, tra ciò che può ritenersi potenzialmente lesivo della dignità umana e ciò che non può esserlo, nella più parte di casi, vi è una differenza tanto sottile da non garantire uniformità di valutazioni e decisioni neppure dinanzi ad una medesima Autorità. I contenuti immessi in Rete dagli utenti – quelli appunto potenzialmente lesivi della dignità umana – solo raramente sono bianchi o neri, leciti o illeciti mentre, nella più parte dei casi, sono grigi ed idonei a risultare neri agli occhi di taluno e bianchi agli occhi di talaltro. È, per questo, indispensabile che l’ambito di operatività dell’obbligo di rimozione venga ricondotto ai soli contenuti “palesemente illeciti perché contrari a norme di legge”. Ogni altro riferimento risulterebbe ambiguo e non univoco ed affiderebbe una scelta tanto delicata quale quella relativa alla permanenza online o alla rimozione di un contenuto frutto dell’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero di un utente ad una valutazione approssimativa ed opinabile condotta da un soggetto di natura economica come l’ISP, eventualmente, in coordinamento con – o addirittura sotto il controllo del – Governo e, dunque, del potere politico.

Ma c’è di più e si tratta probabilmente della più macroscopica tra le perplessità che metodi e contenuti dell’iniziativa governativa sollevano.
I contenuti oggetto dell’obbligo di rimozione che attraverso il Codice si vorrebbe assunto dagli ISP operanti nel nostro Paese, infatti, non appartengono né agli ISP né al Governo ma, piuttosto, agli utenti. Utenti che attraverso tali contenuti, avvalendosi dei servizi degli ISP, esercitano la propria libertà di manifestazione del pensiero. In tale contesto è singolare e difficile da condividere l’idea che si possa discutere – al di fuori del Parlamento e, quindi, di ogni meccanismo democratico sebbene rappresentativo – delle modalità e dei limiti di esercizio di una libertà costituzionalmente garantita quale quella di manifestazione del pensiero, in totale contumacia di qualsivoglia ente rappresentativo dei diritti e degli interessi dei cittadini. L’attuale meccanismo evincibile dallo schema di codice, infatti, prevede che gli utenti degli ISP aderenti al realizzando sistema di autodisciplina si ritrovino automaticamente obbligati a sottostare alle medesime regole in forza di una semplice previsione che, in esecuzione del Codice, gli ISP dovranno inserire – modificandole – nelle attuali condizioni generali dei diversi servizi erogati online.

Se il processo di “negoziazione” del Codice di “autodisciplina” si concludesse attraverso il percorso ipotizzato dai Ministri Maroni e Romani e se il contenuto definitivo del Codice fosse in linea con quello sin qui ipotizzato, il risultato dell’ultima iniziativa di questo Governo per la governance della Rete potrebbe essere riassunto così: il Governo propone, l’industria accetta ed utenti e cittadini ne fanno le spese ritrovandosi – all’indomani del varo del Codice e della conseguente modifica delle condizioni d’uso dei servizi – a disporre o, almeno, a rischiare di disporre di una libertà di manifestazione del pensiero fortemente limitata in ragione dell’applicazione di un meccanismo di “filtraggio” dei contenuti basato su formule ambigue ed imprecise e su meccanismi di valutazione affidati a soggetti non qualificati ed in assenza di qualsivoglia regola in grado di garantire obiettività ed uniformità di giudizio. Ce ne sarebbe abbastanza, probabilmente, per domandare semplicemente al Governo di tornare sui propri passi ed agli operatori internet di alzarsi dal tavolo declinando l’invito ad “autoregolamentare” la propria attività in danno dei propri utenti. Ma ciò, probabilmente, darebbe la sensazione che la Rete, ancora una volta, voglia sottrarsi ad ogni regola e rifugiarsi nel caos e nell’anarchia primordiale. Il punto, invece, credo non sia questo.

Se ad un codice di autoregolamentazione vuole guardarsi è dunque necessario, a mio avviso, farlo nel rispetto di alcuni imprescindibili principi.
(a) Cittadini ed utenti – attraverso le associazioni dei consumatori ed ogni altro possibile sistema anche telematico – vanno coinvolti senza ulteriore ritardo nel processo di elaborazione del Codice nella consapevolezza che quella alla quale si sta lavorando sarebbe davvero – a dispetto di quanto sostenuto dal Ministro Brunetta a proposito della sua piccola CEC PAC – una delle più grandi “rivoluzioni culturali prodotte in questo Paese dal dopoguerra ad oggi”: si tratterebbe di un grande “patto sociale” sulla libertà di manifestazione del pensiero attraverso il più potente mezzo di comunicazione di massa di tutti i tempi.
Non si tratta di una “leggina” qualsiasi e non si tratta, pertanto, di un’iniziativa che possa essere assunta, all’insaputa dei più, in un conclave ristretto nel quale sono completamente assenti i rappresentanti dei portatori del principale interesse coinvolto: quello all’utilizzo della Rete per la condivisione di idee ed opinioni.

(b) Occorre accettare l’idea – che essa coincida o meno con gli obiettivi “politici” perseguiti dal Governo – che, in un Ordinamento democratico, è illecito solo ciò che contrasta con una norma di legge e solo dopo – salvo l’eccezionale possibilità di far ricorso a provvedimenti cautelari e provvisori – che un Giudice lo ha dichiarato tale.
L’obbligo di rimozione di un contenuto, pertanto, andrà circoscritto ai soli contenuti la cui pubblicazione contrasti con una norma di legge e subordinato all’immediata instaurazione di una procedura nell’ambito della quale l’utente autore del contenuto pubblicato verrà posto in condizione di difendere la legittimità della propria condotta e, quindi, l’esercizio della propria libertà di manifestazione del pensiero.
All’esito di tale procedura, se le posizioni delle parti – autore del contenuto e richiedente la rimozione dello stesso – non risulteranno composte, chi ha interesse ad ottenere la rimozione del contenuto dovrà rivolgersi all’Autorità giudiziaria o all’Autorità indipendente – Garante Privacy o Agcom – competente in relazione alla natura della contestazione.
Ogni più ampia deroga alle regole del diritto, infatti, risulterebbe ingiustificata ed ingiustificabile soprattutto se si tiene conto che la rimozione di un contenuto pubblicato online rappresenta una forma di compressione della libertà di manifestazione del pensiero costituzionalmente garantita.

Non c’è ragione per dubitare delle buone intenzioni del Governo ma, ad un tempo, non si può commettere l’errore di sottovalutare – come invece sembra stia accadendo – una questione tanto delicata e trattarla alla stregua di un problema tecnico o di procedure da risolversi sulla base di un accordo tra potere politico e potere economico.

Guido Scorza
Presidente Istituto per le politiche dell’innovazione
www.guidoscorza.it

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Pubblicato il
17 mag 2010
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