Gli intermediari del mercato del diritto d’autore si sono moltiplicati negli anni passati: puntando sul timore dei netizen il cui indirizzo IP è stato colto in violazione del diritto d’autore, agendo a nome del detentore dei diritti offrono la possibilità di un accordo in cambio di una somma di denaro. La pratica di rastrellamento e di identificazione dell’utente operata con la mediazione del fornitore di connettività si colloca sul crinale della legge e la giustizia non ha ancora adottato un orientamento uniforme a riguardo: ora una manciata di utenti statunitensi ritiene di poter sfoderare un ventaglio di accuse abbastanza ampio da poter contrastare efficacemente gli avvoltoi del copyright.
Rightscorp è uno dei soggetti più attivi nell’ambito della monetizzazione delle violazioni: operando al servizio dell’industria dei contenuti, e di colossi come Warner e Sony, si occupa di rintracciare sulle reti di file sharing gli indirizzi IP dei condivisori delle opere che si fa carico di tutelare. È poi con la sola mediazione del fornitore di connettività, senza dunque passare dall’autorità giudiziaria, che gli avvoltoi del copyright contattano gli assegnatari dell’indirizzo IP proponendo degli accordi che hanno il sapore dell’estorsione . Se i tribunali stanno progressivamente riconoscendo l’illiceità di queste pratiche, una class action supportata da uno studio legale con esperienza nel settore ha l’obiettivo di abbatterne il modello di business.
La denuncia , depositata presso un tribunale della California, fa leva sul modus operandi di Rightcorp: Karen Reif, Isaac Nesmith, insieme ad altri cittadini della Rete, si scagliano contro l’azienda contestandone punto per punto l’attività.
In primo luogo, la modalità con cui vengono identificati gli utenti : le richieste di identificazione volte a dare un nome ad un indirizzo IP inoltrate ai fornitori di connettività sarebbero formulate senza aderire ai criteri previsti dalla sezione 512(h) del DMCA, senza l’approvazione dell’autorità giudiziaria, tanto che Rightscorp ha spesso ritirato le proprie richieste nel momento in cui un provider ha minacciato di impugnarle di fronte a un tribunale.
In presenza di ISP distratti o compiacenti, che mettano a disposizione l’identità dell’abbonato a cui corrisponde l’indirizzo IP finito nel mirino di Rightscorp, l’azienda dà il via alle proposte di accordo : lettere ed email in cui si sollecita il cittadino ad effettuare un modesto versamento da dividere con i detentori dei diritti per compensare la violazione riscontrata in Rete, sotto la minaccia di avviare un processo vero e proprio che potrebbe costare migliaia di dollari. Comunicazioni a cui si aggiungono tempeste di telefonate , fra chiamate automatiche con voce preregistrata, messaggi in segreteria telefonica, e chiamate da parte di operatori umani, nel momento in cui l’ISP fornisca il numero telefonico dell’abbonato o nel momento in cui il netizen si metta in contatto con Rightscorp per ottenere maggiori informazioni. Chiamate quotidiane, che secondo gli attori della class action si configurano in violazione del Telephone Consumer Protection Act (TCPA), che tutela i cittadini statunitensi dalle molestie telefoniche , sanzionate con danni pari a 500 dollari per violazione che possono essere triplicati nel momento in cui la condotta risulti particolarmente grave.
Anche le richieste che Rightscorp formula agli utenti si classificherebbero come illegali: l’azienda millanta la possibilità di disporre delle disconnessioni da Internet, minaccia processi che solo il detentore dei diritti potrebbe avviare, si rifiuta di segnalare all’utente i file per cui è stato chiamato in causa.
I cittadini che aderiscono alla class action non intendono risparmiare a Rightscorp alcuna accusa: se la loro azione legale dovesse avere successo, oltre che a consolidare la giurisprudenza relativa allo status degli intermediari del diritto d’autore, potrebbe infliggere il colpo di grazia all’azienda, che già naviga in cattive acque .
Gaia Bottà