Lanciata da un piccolo gruppo di attivisti newyorchesi, la sfida legale al colosso del search asiatico Baidu potrà continuare , dopo esser stata interrotta alla fine dello scorso marzo tra scarse documentazioni e questioni legate al principio di sovranità nazionale. Il governo cinese aveva infatti invocato il testo della Convenzione de L’Aia in merito alla denuncia presentata da scrittori e video-maker contro l’oscuramento di numerosi contenuti digitali.
Il giudice newyorchese Jesse Furman aveva infatti respinto le accuse degli attivisti, sottolineando come le loro pretese – un risarcimento da 16 milioni di dollari dopo i filtri attivati dal popolare motore di ricerca asiatico – risultassero in violazione degli accordi internazionali, minacciando di fatto la sovranità di uno stato estero. Nello stesso tribunale della Grande Mela, Furman ha deciso di riaprire il caso dopo un’analisi più attenta.
In sostanza il governo di Pechino dovrà difendersi dalle accuse di censura, non potendo contare sul principio di sovranità nazionale stabilito nel testo della Convenzione de L’Aia. L’operato di Baidu – in quanto società commerciale privata – può essere soggetto a denuncia per violazione del Primo Emendamento della Costituzione statunitense . Gli attivisti avranno trenta giorni di tempo per avviare le pratiche legali contro il search engine cinese. ( M.V. )