Le dinamiche della diffusione delle opere condivise in violazione del diritto d’autore sono le stesse ad ogni capo del mondo e della Rete, le strategie dell’industria del copyright, pure: gli studios cinesi hanno denunciato il motore di ricerca cinese per eccellenza, Baidu, responsabile di linkare contenuti che violano il copyright a favore di una platea di quasi 600 milioni di netizen.
L’accusa è stata forumlata da una coalizione di operatori locali del settore video: Youku, LeTV, Sohu Tencent e altri, supportati dalla MPAA, si sono scagliati contro Baidu e contro l’aggregatore video concorrente QVOD e hanno comunicato l’avvio dell’azione legale in una pomposa conferenza stampa al cospetto dei rappresentanti di colossi del cinema quali Sony Pictures Entertainment, Warner Brothers, Disney e Paramount.
“Baidu distribuisce contenuti senza autorizzazione – si spiega in un comunicato della coalizione – portando avanti attività che vanno oltre quelle dei motori di ricerca”: oggetto del contendere, i link offerti dal search engine, che puntano a contenuti ospitati su siti terzi , visibili anche attraverso applicazioni di Baidu stesso, che “approfitta di contenuti, storage e banda di siti terzi dedicati ai video”. Per questo motivo l’accusa, con le numerose denunce depositate in altrettanto numerosi tribunali cinesi, chiede una compensazione di 300 milioni di yuan, oltre 36 milioni di euro .
Baidu, per anni sotto la lente dei signori del copyright e progressivamente affrancatosi dalla fama di nemico del diritto d’autore con una strategica opera di collaborazione , si professa innocente : sta approntando un sistema che filtri automaticamente i risultati di ricerca pirata, che già provvede a eliminare tempestivamente su segnalazione. Solo dal mese di giugno ad oggi, sarebbero 5,8 i milioni di link a contenuti pirata eliminati, in gran parte individuati per iniziativa dello stesso motore di ricerca, adattando una strategia anche più attiva rispetto a quella adottata da Google, che dal mese di gennaio ha rimosso 200 milioni di link segnalati dai detentori dei diritti.
Il motore di ricerca cinese non sembra temere l’affondo degli studios: già colpito dall’industria della musica, che l’accusava di violazione del copyright a mezzo link scodellati fra i risultati di ricerca, è riuscito più volte a far valere il proprio status di mero intermediario.
Gaia Bottà