La Commissione europea è preoccupata dalle tempistiche di rilascio delle frequenze della banda 700 MHz in favore degli operatori di telefonia mobile per il 5G: lo ha fatto capire il vicepresidente della Commissione Ue, Andrus Ansip, in un’intervista all’agenzia Ansa rilasciata in anticipo sulla sua visita a Roma, dove domani incontrerà il ministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda e il sottosegretario Antonello Giacomelli. “Un ritardo di due anni su tutto il processo non è la soluzione giusta”, ha dichiarato Ansip, mentre per l’Italia è “importante essere tra i primi a essere coperti dalla rete 5G”.
Il commissario europeo, insomma, lascia intendere che l’Italia ha tutto da perdere nell’utilizzare i due anni di proroga , dal 2020 al 2022, che la normativa europea concede per concludere il passaggio della banda 700 MHz alla banda larga, con relativa asta per la riassegnazione delle frequenze, poiché quest’ultima potrebbe fruttare “fino a 4-4,5 miliardi”, denari che potrebbero essere impiegati sia per investimenti nelle infrastrutture di rete, sia per compensare le spese della stessa transizione. Transizione che si annuncia difficile, da qui le preoccupazioni della UE.
In Italia la tv digitale terrestre , che attualmente detiene la banda 700 MHz, è la piattaforma largamente dominante per la distribuzione televisiva, a differenza di altri paesi europei dove esiste un maggiore equilibrio con il satellite e il cavo. Inoltre, il nostro paese vanta il primato delle emittenti locali: l’Auditel ne monitora 180, ma sono molte di più. Nel 2014, a switch off del digitale già avvenuto, si stimavano circa 480 frequenze assegnate, ovvero multiplex, e dal momento che ognuno di essi può contenere un certo numero di canali, il numero totale è difficilmente determinabile (anche se molti canali sono inutili ripetizioni). La questione della cessione delle 11 frequenze che vanno dal canale 49 al 60 dello spettro ora utilizzato dalla tv passerà, quindi, obbligatoriamente da uno sfoltimento, o almeno da una ottimizzazione delle risorse assegnate all’emittenza locale . Ma anche dall’ adozione di soluzioni tecniche , come il sistema di compressione video MPEG4 , maggiormente efficiente, in luogo dell’attuale MPEG2 (in realtà l’MPEG4 è già utilizzato, ma solo per i canali HD).
Il timore che l’Italia utilizzi tutto il tempo a sua disposizione, compresi “i supplementari” che scadono nel 2022, è dunque fondato, tanto più che oltre a fare i conti con le esigenze delle emittenti nazionali e locali, il nostro paese deve vedersela con l’ armonizzazione del piano delle frequenze con i paesi confinanti , ovvero Francia, Croazia, Slovenia e Nord Africa. Alcune frequenze, infatti, non potranno essere utilizzate nelle zone dove c’è il rischio che le emissioni raggiungano, inevitabilmente, i paesi oltreconfine.
Le ansie dell’Unione Europea sono amplificate dal fatto che manca meno di un anno al completamento del piano delle frequenze che l’Italia deve consegnare, un lavoro che si annuncia lungo e difficile, per i motivi indicati sopra. Una preoccupazione che, solo pochi giorni fa, è stata condivisa anche dal presidente dell’Agcom, Angelo Marcello Cardani, nella sua relazione di presentazione al Parlamento del Rapporto Annuale dell’autorità. Se c’è un ritardo nella road map del piano delle frequenze, come potrà esservi il rispetto della scadenza del 2020 per la liberazione della banda 700 MHz e l’indizione dell’asta?
Il governo, per bocca del sottosegretario Antonello Giacomelli , risponde appellandosi proprio alla proroga prevista dalla normativa in materia. “Mi dispiace che il commissario Ansip sia poco informato – ha dichiarato il sottosegretario. Non c’è nessun ritardo dell’Italia sul passaggio delle frequenze 700 MHz alle TLC, ma una decisione presa all’unanimità dal Consiglio dei governi europei dello scorso 26 maggio, d’accordo nel fissare al 2022 la data ultima per il passaggio delle frequenze, tra l’altro in linea con le conclusioni del rapporto Lamy. Quindi l’Italia è in linea con l’Europa, non capisco quali posizioni intenda rappresentare Ansip”. Una dichiarazione che, piuttosto che tranquillizzare, potrebbe avere l’effetto di allarmare maggiormente tutti coloro che nella Commissione UE spingono perché sia rispettata la prima scadenza, quella del 2020, in modo che non si perdano 2 anni preziosi per il lancio dei servizi 5G.
Per molti, infatti, questi sono visti come una boccata di ossigeno per l’economia, dal momento che comportano investimenti in infrastrutture, royalty sui brevetti, nuovi servizi e nuove entrate per gli operatori. Va ricordato che la tecnologia 5G non servirà solo per la navigazione di Internet da terminali mobili ma anche per l’intercomunicazione di oggetti (automobili, elettrodomestici, macchinari, ecc.), ovvero per ciò che comunemente va sotto il nome di Internet of Things, la Internet delle Cose.
Chi ha ragione, la Commissione UE o il governo italiano? Il piano europeo, pur fissando la scadenza del rilascio della banda 700 MHz al 2020, prevede la proroga al 2022, ma solo per “motivi debitamente giustificati”. Quali sono questi motivi ? Problemi di coordinamento transfrontaliero irrisolti; interferenze dannose irrisolte; necessità di assicurare la migrazione tecnica verso standard di trasmissione avanzati in presenza di una grande porzione di popolazione interessata da tale processo; costi finanziari della transizione superiori ai ricavi previsti generati dalle procedure di aggiudicazione, o forza maggiore. Elementi che sembrano essere tutti presenti nel caso dell’Italia.
Insomma, l’atteggiamento della Commissione europea sembra essere: la proroga c’è, ma se l’Italia non la utilizza è meglio. Perché l’Europa deve agire di concerto, come un corpo unico, centrando l’obiettivo del 2020, anche perché altri paesi, come quelli del sud est asiatico, sono in vantaggio. La Corea del Sud, ad esempio, ha già annunciato il lancio dei servizi 5G per il 2018, in occasione delle Olimpiadi invernali. E l’Europa deve correre, senza intralci.
Pierluigi Sandonnini