Proprio mentre il piano dell’Agenda Digitale dovrebbe macinare risultati, sorgono problemi nel capire se ci sono e, nel caso, a quanto ammontano i fondi europei destinati allo sviluppo della banda larga e della digitalizzazione dell’Italia.
La questione dovrebbe essere facilmente risolvibile: per quanto complessa, quella relativa alla gestione dei progetti europei è una materia altamente controllata attraverso bandi e assegnazioni precise i cui passaggi vengono prescritti e controllati da Bruxelles e che studiano business plan e risultati attesi. Tuttavia, mentre si avvicina la fase di definizione dei programmi, i commentatori gettano dubbi su quanto previsto dal Governo italiano.
Il tutto parte dall’Accordo di partenariato, il documento di strategia nazionale che indica gli interventi su cui si concentrerà l’impiego dei fondi strutturali europei nell’ambito della Politica di coesione per il ciclo 2014-2020 (la strategia di livello europeo). In questo trova spazio un obiettivo specificatamente dedicato a quella che viene definita l’Agenda digitale: si tratta del cosiddetto Obiettivo Tematico 2 sul miglioramento dell’accesso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, attraverso cui si vuole sia intervenire sul divario digitale sul territorio, sia sulla diffusione della banda banda e ultralarga, che sui processi di digitalizzazione della pubblica amministrazione (dall’interoperabilità delle banche dati pubbliche, all’offerta di servizi pubblici digitali, passando per le soluzioni cloud possibili).
Così, anche se Sabina De Luca, vertice del Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione economica (Dps), afferma che “la bozza informale di Accordo di Partenariato inviata alla Commissione europea lo scorso 9 dicembre destina all’OT2 1,8 miliardi di euro del Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) di cui il 35 per cento (630 milioni di euro) a favore della connettività in banda larga e ultra larga”, soldi cui bisogna (come previsto dalla normativa comunitaria) aggiungere un cofinanziamento nazionale quasi equivalente, questi fondi sembrano non essere assegnati con in mente una strategia omogenea e sembrano essere del tutto insufficienti a coprire questa vasta gamma di obiettivi .
Per esempio, secondo Rossella Lehnus, esperta di fondi europei e banda larga e collaboratrice del Mise, ad oggi ci sono solo 3,6 miliardi di euro per “l’accesso alle tecnologie digitali” rispetto ai 10 miliardi di euro calcolati come necessari dall’Agenzia per l’Italia digitale, e non vi sono fondi europei assegnati alle reti e in particolare alla banda ultra larga, ma solo fondi statali, che oltretutto partono solo dal 2017.
Inoltre, sempre secondo Lehnus, i fondi previsti sono assegnati “senza un piano organico, ma con cose slegate tra loro e dal resto dello sviluppo economico”.
Oltre a questi problemi, secondo Il Sole 24 Ore , i fondi UE destinati a finanziare la parte digitale del piano definito “Destinazione Italia”, potrebbero finire per salvare il credito di imposta per la ricerca (600 milioni per i primi due anni), gli incentivi alle Piccole e medie imprese digitali (100 milioni) e per il bonus per l’acquisto dei libri previsto nell’ultima finanziaria (altri 50 milioni) : sempre che l’Europa accetti di permettere al ministero per lo Sviluppo Economico di utilizzare tali fondi per tutte le regioni interessate e non sono solo per quelle meno avvantaggiate (Sardegna, Abruzzo, Molise, Basilicata, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia) per cui l’Italia li aveva contrattati nella programmazione 2014-2020.
Secondo gli ultimi dati raccolti dall’OCSE, d’altra parte, sarebbero fondi terribilmente necessari per il paese, che si trova al ventesimo posto per penetrazione della banda larga wireless e al ventiquattresimo per quella fissa , che arriva a 22,4 abbonati ogni cento abitanti, contro il 26,7 per cento di penetrazione che caratterizza in generale i 34 paesi presi in considerazione, con al vertice Svizzera, Olanda e Danimarca, rispettivamente con un tasso del 43,8, del 40 e del 39,7 per cento.
Per capire meglio il quadro italiano, d’altra parte, è atteso entro metà mese sul tavolo di Letta il rapporto di Francesco Caio, Gerard Pogorel e Scott Marcus sullo stato dell’infrastruttura di banda larga, degli investimenti sin qui fatti e dei piani di sviluppo dei principali gestori italiani: l’ennesima occasione per analizzare la situazione. E nel frattempo, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) e l’Agcm hanno avviato un’indagine conoscitiva sulla concorrenza e sulle prospettive di investimento nelle reti di telecomunicazioni a banda larga e ultralarga, per concentrarsi in particolare sui servizi di accesso e sui processi di convergenza che stanno coinvolgendo le strutture di rete fissa e mobile.
Claudio Tamburrino