La guerra del vessillo ha avuto il suo epilogo, stabilito dal giudice della sezione specializzata in materia di proprietà industriale e intellettuale del Tribunale di Milano. Ha vinto l’associazione guidata dal presidente Athos Gualazzi, che potrà continuare a fregiarsi della denominazione Partito Pirata e del noto segno grafico con la vela rigonfia verso destra inserita in un cerchio .
Stabilita così una “lesione dell’identità dell’associazione Partito Pirata” da parte del 43enne Marco Marsili – docente di comunicazione e giornalista – alla guida di quel Pirate Party che si era autodefinito “il partito pirata italiano”, fondato a Milano anni dopo la fazione guidata da Gualazzi. Il giudice meneghino aveva già imposto a Marsili “la cessazione dell’uso di ogni forma e contesto dei nomi Partito Pirata, Pirateparty e/o Pirate Party , anche come nome di dominio Internet”.
Dunque confermata l’ordinanza diramata nell’aprile scorso, dopo il ricorso presentato dallo stesso Marsili al Tribunale di Milano. “Il Partito Pirata ha sempre svolto attività politica, intendendosi così più propriamente come avente contenuto politico quella attività che – anche ove si concentri su questioni specifiche – si propone di influenzare e di orientare l’attività delle istituzioni e di promuovere la sensibilizzazione dei cittadini anche di fine di sostenere e diffondere opinioni e proposte anche di tipo legislativo”, ha spiegato il giudice.
Lasciando intatte le precedenti considerazioni, il giudice ha riconosciuto che “il Partito Pirata si è costituito ben prima, sussistendo evidenti profili confusori sia per la denominazione che per il segno distintivo”. Il Pirate Party rischia ora una penale fissata a 500 euro “per ogni violazione eventualmente contestata dopo la decorrenza del termine di 15 giorni dalla notificazione del presente provvedimento”. Marsili dovrà pagare 4.500 euro di spese legali.
Mauro Vecchio