Charkhai (Bangladesh) – Un venditore di verdura colora l’angolo della strada fangosa e la riempie del suo vociare, caprette dalle zampe inzaccherate frugano fra l’immondizia, mentre una donna trafelata si infila nell’Internet point di Charkhai, Bangladesh. Ne esce dopo pochi minuti, sorride a Ken Sullivan, giornalista del Washington Post . Ha appena chiamato, via VoIP, un parente che ha fatto fortuna a Londra. Le ha appena promesso che finanzierà il matrimonio di sua figlia. “Una chiamata costata otto Taka (undici centesimi di dollaro) me ne ha fatti guadagnare centinaia”, annuncia raggiante.
Non ci si può permettere di assolvere alle spese di un matrimonio ma si usa la telefonia VoIP, in Bangladesh. Si guadagnano pochi dollari al mese ma sono sedici milioni le sottoscrizioni ad abbonamenti di telefonia mobile , due milioni di nuovi utenti al mese, spiega il Post in un corposo reportage .
Il governo ha promesso di portare la banda larga in ogni villaggio, entro il 2015. Un obiettivo fin troppo lungimirante, forse improbabile, considerato che nemmeno la linea telefonica fissa versa in condizioni degne: raggiunge solo un milione di utenti, la centocinquantesima parte della popolazione totale.
Per ora, a garantire connettività Internet, ci pensa Grameen Phone . La compagnia di telefonia mobile copre il 95% della popolazione, detiene quasi due terzi delle sottoscrizioni in Bangladesh e si è fatta paladina di iniziative “dal basso” rivoluzionarie, quali lo sviluppo di Community Information Centre come quello di Charkhai.
In sostanza, si tratta di postazioni Internet dotate di computer con poche pretese, di stampante, scanner e modem EDGE, capaci di collegare alla Rete milioni di persone sparpagliate e isolate nelle comunità rurali del Bangladesh.
Da febbraio di quest’anno sono spuntati nei villaggi un centinaio di Community Information Centre, ma entro la fine del 2006 saranno almeno cinquecento. Prima di febbraio erano solo 370 mila gli abitanti del Bangladesh raggiunti da Internet: ora ogni computer di ogni Community Information Centre è sfruttato da almeno trenta persone al giorno, per le attività più disparate.
Il Community Information Center di Charkhai era un negozietto che si occupava della riparazione e della vendita di telefonini, fino a pochi mesi fa. Un affare che avrebbe potuto rendere di per sé, dato l’alto tasso di penetrazione della telefonia mobile nel mercato del Bangladesh, e in generale nei mercati emergenti dei paesi in via di sviluppo.
Ora è un punto di ritrovo per l’intera comunità rurale.
Brulica ogni giorno di commercianti ansiosi di conoscere le quotazioni delle merci che scambiano, di donne che smaniano dalla voglia di ripetere al marito lontano i mozziconi delle prime parole pronunciate dal figlio. Si riempie di giovani che cercano impiego, attingendo alle offerte di lavoro pubblicate su Internet, localizzate nel paese vicino, come nel più remoto dei continenti, dando loro la possibilità di partire con tante aspettative, pochi soldi in tasca, e un lido sicuro presso cui approdare.
Chiacchierano in coda ragazzi baldanzosi, che mostrano a tutti la foto della fidanzata con la quale parleranno tra pochi minuti di fronte ad una webcam. E che magari sposeranno in videoconferenza , in attesa di raggiungerla con un visto nuovo fiammante, ottenuto compilando i moduli scaricati dalla Rete.
Sospirano donne preoccupate, ansiose di consultare il medico rintracciato attraverso il database compilato dal gestore dell’Internet point. Il medico riceve in città, ma spostarsi significherebbe spendere i soldi corrispondenti a una paga giornaliera, per infilarsi su un autobus sgangherato che assicura di partire ma non garantisce di arrivare a destinazione. Sembra in un certo senso paradossale, in un paese in cui il reddito medio annuale si aggira intorno ai 440 dollari, preoccuparsi di infittire le maglie della rete di telefonia mobile e proporre Internet per tutti, piuttosto che cercare di sostenere e supportare la popolazione consentendole di assolvere ai bisogni primari.
Si ricordi però che il digital divide è un divario sociale ed economico , per le conseguenze e le preclusioni che implica e che impone ai “non connessi”.
Grameen Phone, e le organizzazioni “sorelle” Grameen Bank e Grameen Foundation , si sono fatte paladine, con numerose iniziative, della lotta contro il divario digitale, contro il divario della conoscenza e contro le sperequazioni economiche tra “paesi ricchi” e “paesi poveri”.
Prima dell’iniziativa dei Community Information Centre, Grameen ha diffuso connettività con i Village Phone , assegnati a donne capaci di svilupparne un business offrendo ai membri della comunità il noleggio del telefonino . Ha inoltre promosso un sistema di microcredito per finanziare la piccola imprenditoria rurale, dando l’impulso che ha innescato un circolo virtuoso capace di migliorare la posizione di tutta la comunità.
Le dinamiche di sviluppo sociale dal basso che Grameen ha saputo attivare sono valse il Nobel per la Pace 2006 al suo fondatore, Muhammad Yunus, il bengalese soprannominato “il banchiere dei poveri” (vedi video qui sotto). E sono valse alle comunità raggiunte da telefoni e Internet la possibilità di rivolgersi ai servizi di telemedicina, di approfittare, quando possibile, di pratiche di e-government, di cercare lavoro, di sviluppare attività e relazioni commerciali, di mantenere i contatti con le persone care, particolare non trascurabile per la qualità della vita in un paese che conta 4 milioni di emigrati.
Una win-win situation : vincono i microimprenditori, vince la comunità nella sua totalità, che può sviluppare un circuito economico e sociale solido e migliorare la qualità della vita. Vince anche Grameen, dato che i suoi investimenti non sono a fondo perduto, e stimolano la crescita di un mercato al quale potersi rivolgersi con altre proposte.
Gaia Bottà