Web – A chi non è mai capitato di imbattersi in un grande banner quadrato che campeggia nel mezzo di una pagina che si visita o si legge? Quello altro non è che uno dei nuovi banner i cui formati sono già stati approvati dallo IAB. A cui si aggiungono, ora, forme di pubblicità elettronica che qualcuno potrebbe giudicare ancora più invasive.
Se si scorrono le notizie del New York Times ( www.nytimes.com ) ci si può imbattere nel primo banner pop-under che abbia conquistato una testata così autorevole come l’edizione online del giornale newyorkese. Il pop-under è una pagina pubblicitaria di dimensioni standard ma più piccole di quelle della finestra del browser dell’utente. Al contrario dei pop-up, pagine-banner che si caricano letteralmente sopra le pagine richieste dall’utente, pop-under si carica al di sotto.
L’utente si accorge della presenza di una pubblicità pop-under quando riduce le dimensioni delle finestre del browser o lo chiude. Così facendo troverà, in mezzo al proprio desktop, “la grafica accattivante” della banner-page pop-under.
Non è che la conferma di un trend. Gli introiti pubblicitari, persino delle grandi ezine del Web e degli editori più affermati, stanno subendo una progressiva contrazione e sono in molti ad accettare pressoché qualsiasi genere di spot, anche di formato così invasivo, pur di far “quadrare il bilancio”.
Secondo l’analista di Forrester Research, Jim Nail, “l’industria ritiene che i banner siano troppo sottili. Pensa che gli utenti in realtà non li vedano o che abbiano imparato a non vederli. E così spingono per l’utilizzo di banner più invasivi”.
Come finirà? Neil sostiene che il limite deve ancora essere toccato: “Le aziende vogliono fare pubblicità online perché sanno che in tanti passano tanto tempo sulla Rete. Il punto è capire come farlo. Quanto possono essere invasivi i banner prima di indispettire l’utente? Quanta pubblicità tollererà l’utente pur di ricevere contenuti gratuiti?”. Non è un caso che Salon abbia deciso di offrire pagine senza pubblicità a chiunque sia disposto a pagare un abbonamento alla celebre e-zine. Ma l’incertezza sul futuro della pubblicità online sembra profonda, mentre crescono le dimensioni dei banner.