La notizia è che finalmente, dopo lunga attesa all’interno di un percorso fatto di attriti, la musica di Battisti è approdata su Spotify (ma non solo: anche su Deezer, Tidal, Apple Music e Google Music). Tutto inizia ieri, 29 settembre: non poteva essere altrimenti. La novità è però un’altra: la novità sta nel fatto che da oggi milioni di persone potranno ascoltare la musica di Battisti. Qual è la differenza tra i due concetti? Nel primo caso c’è soltanto l’approdo di un artista su una piattaforma streaming, nel secondo caso l’accento si pone sul fatto che una community può accedere a musica alla quale prima non accedeva.
Perché questo è il paradigma unico e vero delle piattaforme di streaming: l’accesso.
Battisti, su Spotify
Da quando non si acquista più musica, ma se ne ottiene il diritto di accedervi tramite abbonamenti mensili di vario tipo, il rapporto con la musica è cambiato. Secondo alcuni è migliorato, poiché democratizzato all’interno di una logica tale per cui chiunque, con una piccola cifra, può accedere a cataloghi immensi; secondo altri è peggiorato, poiché non si possiede più musica e si finisce per accedere soltanto a quella posta in evidenza da algoritmi e playlist predefinite. Noi ci limitiamo a constatare come entrambe le posizioni abbiano validi argomenti, ma che in una giornata come questa occorra anzitutto riflettere sul futuro della musica online.
I dati lo spiegano ormai esplicitamente: benché il vinile abbia dato un colpo di coda, la realtà è che lo streaming sta fagocitando le abitudini di consumo degli utenti. Laddove tutto si basa sull’accesso, il valore dello stesso è dettato da quel che si trova dentro il contenitore. Il numero delle produzioni è chiaramente importante poiché sintomo di parcellizzazione e ampiezza dell’offerta culturale intrinseca all’abbonamento, ma la qualità è un parametro a sé. Così come i Beatles si sono fatti attendere, ora tocca a Battisti: tutta roba che, paradossalmente, prima non c’era e ora invece c’è.
Da oggi, insomma, un ragazzino può entrare nell’immaginario dei suoi genitori; oggi un ragazzino può respirare l’aria di qualche decennio prima; oggi un ragazzino può ascoltare valori eterni da una canzone di tanti anni fa, semplicemente perché ha la possibilità di accedervi tramite un abbonamento che porta quelle note e quelle parole nei suoi auricolari, tramite il suo bluetooth, attraverso il suo smartphone, dopo un tap sullo schermo. “Alexa, metti Battisti su Spotify
” può creare un clima di dialogo in una casa, può dar vita ad una atmosfera, può creare un’intesa nuova tra due generazioni. La musica degli uni per definizione, le piattaforme degli altri per definizione, le emozioni di tutti per definizione.
Possiamo ignorare i pericoli dei modelli di consumo basati sull’accesso solo quando l’offerta dei contenuti è garantita: da quel momento in poi bisogna temere il pericolo – che già c’era, perché già c’era, ben più di oggi – che a monte ci sia qualcuno che sceglie di non dover distribuire o produrre questo o quell’artista. Oggi sì, oggi l’accesso è meno oneroso e quindi probabilmente più democratico. Per la meritocrazia aspetteremo forse uno step ulteriore, quando si sarà trovato un bilanciamento migliore tra algoritmi basati sui “mi piace” e altri basati sui desiderata delle case discografiche. Ma è indubbio che lo streaming abbia reso tutto migliore, almeno in questa fase – forse ancora ingenua – di conquista del mercato.
Il Battisti giusto, a scanso di equivoci
“Lucio Battisti è stato un cantante, compositore, polistrumentista, arrangiatore e produttore discografico italiano. Tra i più grandi, influenti e innovativi cantanti e musicisti italiani di sempre, è considerato una delle massime personalità nella storia della musica italiana sia come compositore e interprete dei suoi brani, sia come compositore per altri artisti. In tutta la sua carriera ha venduto oltre 25 milioni di dischi“: così Wikipedia spiega Battisti ai ragazzi che non lo hanno conosciuto direttamente.
“Riproduco i brani di Battisti su Spotify“, mi ha detto Alexa in tutta risposta. Ma è partito di tutto, tranne QUEL Battisti: tributi, imitazioni, tunz tunz e amenità varie. Ecco, non è stata una bella esperienza. Colpa degli algoritmi e delle piattaforme, che in quest’epoca di ingenuità streaming possono ancora fare dei danni. Onde evitare, ecco un link che prende per mano chi in questo momento sente l’irresistibile pulsione di ascoltare Battisti sul proprio smartphone o sul proprio pc: cliccate qui, nel frattempo Spotify e le altre piattaforme coinvolte capiranno rapidamente chi è davvero Battisti. Del resto fino ad ora anche Spotify non lo conosceva: non vi aveva accesso.