Come promesso nella scorsa primavera, i Beatles hanno pubblicato la loro ultima canzone, Now and Then. Tutto molto bello, se non fosse che John se ne è andato 43 anni fa e George ci ha lasciati all’alba del nuovo millennio. Eppure, la voce del primo sembra uscita da una nuova sessione ad Abbey Road. Merito dell’intelligenza artificiale, degli algoritmi a cui è stata data in pasto una vecchia demo del 1977, rimasta a lungo chiusa in un cassetto, perfino esclusa dai progetti antologici di fine anni ’90, poiché ritenuta non all’altezza.
Now and Then dei Beatles: chi Sì
e chi No
La pubblicazione di un nuovo brano dei Fab Four non può lasciare indifferenti. Vuoi per l’influenza di un Gruppo che solo un gruppo non è mai stato, per ciò che ha rappresentato, e che ancora rappresenta, anche e soprattutto al di fuori dei confini dell’ambito discografico, come fenomeno culturale e di costume. Vuoi per l’impatto emotivo su chi, con la loro musica, è nato e cresciuto, per chi ha avuto la fortuna di viverla in prima persona e per chi invece, per ragioni prettamente anagrafiche, l’ha conosciuta e fatta propria solo poi, con la consapevolezza di immergersi a ogni ascolto nell’opera di chi aveva già detto tutto, aveva già fatto tutto.
Il risultato è qui sotto: 248 secondi che divideranno le posizioni di chi Sì
e di chi invece No
. Di chi farà appello allo spirito innovativo e sperimentale che ha sempre accompagnato il quartetto di Liverpool durante il loro decennio di attività, giustificandone metodo e finalità, e di chi etichetterà l’iniziativa come l’ennesima operazione commerciale finalizzata esclusivamente a spolpare un catalogo già proposto e riproposto in ogni salsa.
L’opinione in merito di chi scrive ha poca importanza. Per dirla tutta, Now and Then l’avevamo già anche ascoltata, in un vecchio bootleg del 2009, difficile da trovare su supporto fisico, ma per lunghi anni facilmente reperibile online nella sua controparte digitale e oggi, con una precisione chirurgica, rimosso da piattaforme come YouTube. A conti fatti, è una canzone restaurata come ne abbiamo sentite tante, da quando i componenti del Gruppo rimasti in vita, e gli eredi di quelli scomparsi, hanno deciso di dare al pubblico ciò che il pubblico ha sempre voluto: i Beatles, sempre più Beatles. C’è voglia di Beatles e chi ne gestisce il catalogo non ha alcuna intenzione di lasciare i fan a bocca asciutta.
IA e musica, nuovi scenari
L’elemento di discussione non è la musica composta da quattro ragazzi incredibilmente talentuosi e visionari che, oltre mezzo secolo fa, hanno dimostrato come, a volte, l’insieme sia più della somma delle singole parti. Non è nemmeno il lancio di una nuova canzone dei Fab Four (che, lo ricordiamo, nel 1977 erano già sciolti da quasi un decennio). È l’impiego di una tecnologia inedita, di intelligenza artificiale e, più nello specifico, di un sistema a cui è stata affidata la voce di John.
Vale allora la pena chiedersi se le uniche riflessioni lecite a proposito dell’impatto dell’IA siano quelle sul tavolo dell’AI Safety Summit, in corso proprio in questi giorni, inerenti a scenari apocalittici. O se, magari con priorità differenti, ci si dovrebbe interrogare anche su come il suo impiego possa avere influenze altrove, in altri territori. Certo, una nuova canzone dei Beatles non può far male a nessuno e i numeri raccolti dalle piattaforme nella prima giornata di disponibilità sembrano confermare il successo dell’iniziativa, ma era davvero necessario?
Fa sorridere pensare a come, a conti fatti, anche questa spaccatura tra chi Sì
e chi invece No
sia stata essa stessa l’anima di quel quartetto. Chi si è appassionato alla loro opera e, soprattutto, alla sua genesi, sa bene quanto, senza tensioni e correnti opposte interne, oggi non avremmo modo di dibattere a proposito di un gruppo che, 53 anni dopo la sua divisione, ci tiene ancora qui a discutere e a riflettere. Sembra di sentirli, Paul e John, a litigare su come andrà.
I’ve got to admit it’s getting better, a little better all the time / It can’t get no worse.