“Quando si è saputo che la NSA stava spiando le persone di tutto il mondo, tutti sono rimasti sconvolti: Facebook sta facendo la stessa identica cosa, ma in un modo diverso”: in un tonante parallelo fra stato e mercato, e fra i diversi interessi alla base di una sorveglianza ugualmente pervasiva, l’avvocato Frederic Debussere ha arringato la giustizia belga in rappresentanza della Commission de la Protection de la Vie Privée (CPVP), l’authority locale che vigila sulla protezione della privacy.
È iniziato così il confronto con Facebook di fronte al tribunale di Bruxelles che dovrà stabilire se le pratiche di tracciamento adottate dal social network debbano essere modificate per aderire al quadro normativo locale o se, come sostenuto da Facebook, possano limitarsi a rispettare le leggi irlandesi e quanto previsto dai paesi in cui Facebook ha sede.
È infatti da mesi, da quando Facebook ha aggiornato le proprie policy per ampliare le possibilità di sfruttamento dei dati rastrellati presso gli utenti, che il garante belga ammonisce il social network a contenere le proprie ambizioni di sorveglianza a fini pubblicitari: non fosse stato abbastanza esplicito il report con cui si denunciava il tracciamento anche a mezzo plugin senza esplicito consenso da parte dei netizen, l’autorità aveva raccomandato ai cittadini di adottare le opportune misure tecniche per proteggersi dall’invasività di un monitoraggio incompatibile con le leggi vigenti in Belgio. Sarà il contenzioso che si è appena aperto a decretare se l’authority potrà imporre al social network di adeguarsi, e proprio il rappresentante del garante ha invitato la magistratura a “non farsi intimorire”.
Facebook, da parte sua, ha periodicamente respinto le accuse richiamandosi alle peculiarità della giurisdizione irlandese e ha minacciato di negare i propri servizi ai paesi le cui autorità si dimostrassero intransigentemente convinte che il tracciamento sia uno strumento di controllo ai danni dei cittadini. Anche di fronte al tribunale di Bruxelles i legali del social network hanno premesso di voler dimostrare nel corso del processo “come questa tecnologia protegga le persone da spam, malware e da altri tipi di attacchi”. E, perfettamente in linea con il parallelo con l’intelligence statunitense tracciato dal garante belga, l’avvocato di Facebook Paul Lefebvre si è spinto a descrivere i dati raccolti con la mediazione dei cookie dispensati a utenti e non utenti come uno strumento dedicato alla tutela della sicurezza che “consente di identificare i tentativi di accesso in cattiva fede attraverso il browser utilizzato” e che, qualora venisse a mancare, “trasformerebbe il Belgio nella culla per il cyberterrorismo”.
Sarà il tribunale di Bruxelles ad ascoltare le argomentazioni delle parti, a delineare il raggio d’azione per il garante locale e a valutare se l’inatteso impegno di Facebook a favore della sicurezza nazionale e dei dati dei cittadini sia capace di bilanciare l’innegabile ed esplicita propensione al tracciamento ai fini di marketing.
Gaia Bottà