La Bielorussia è un paese che non ha mai assunto un atteggiamento gentile e rispettoso nei confronti della Rete. A confermare tale inclinazione vi è l’ultima azione intrapresa dal governo guidato da Alexander Lukashenko: la chiusura di Facebook, Twitter e del principale social network russo, decisa nel tentativo di sedare le proteste antigovernative.
Negli ultimi giorni, oltre 250 persone sono state arrestate durante le manifestazioni organizzate nelle strade di Minsk per esprimere la disapprovazione nei confronti della politica economica formulata dal governo in carica. Il gruppo impegnato nella difesa dei diritti civili Vesna ha comunicato che le forze di polizia hanno arrestato dozzine di attivisti.
Lukashenko, il quale non ha mai nascosto la propria idea stereotipata del profilo medio del netizen (considerati teenager delusi e ribelli), ha scelto di stringere la morsa del controllo in Rete, tagliando fuori dalla rete Facebook, Twitter e il social network Vkontakte . Un tentativo di interrompere i collegamenti tra le voci del dissenso ed evitare che le prove delle violenze e dell’abuso delle forze dell’ordine siano diffuse online. Una precisa strategia politica delineata dallo stesso Lukashenko: colpire gli attivisti di Internet che gridano alla rivolta attraverso i social network.
Secondo alcuni osservatori, la stretta sulla Rete da parte del Presidente bielorusso è in parte collegata alla recente visita di Hillary Clinton in Lituania. Il Segretario di Stato americano, parlando davanti a una platea di attivisti, aveva appunto ricordato le potenzialità “sovversive” dell’attivismo online, alludendo, secondo qualcuno, alle condizioni tutt’altro che liberali in cui versano i “vicini di casa”.
Cristina Sciannamblo