Mercoledì scorso Bitcoin ha registrato il suo più grande guadagno giornaliero nel ciclo di due mesi. Nonostante ciò la situazione sembra preoccupare diversi esperti del mondo delle criptovalute. Anche JP Morgan ha rivisto le stime dei costi di produzione di BTC portandole a 45.000 dollari. Il motivo?
Se pur con un certo ritardo, i miner meno redditizi della prima criptovaluta al mondo per capitalizzazione stanno uscendo dalla rete. Una stima molto al di sotto dei prezzi attuali di BTC che si attesta all’incirca sui 65.000 dollari. Quale sarà il suo futuro? Cosa devono aspettarsi gli investitori?
Secondo gli analisti, l’obiettivo di prezzo del Bitcoin sarebbe stimato intorno ai 42.000 dollari una volta calmata l’euforia prodotta dal recente halving di aprile. JP Morgan ha corretto questo obiettivo di 3.000 dollari circa in positivo. Ecco cosa ha dichiarato Nikolas Panigirtzoglou, Managing Director di JP Morgan ai colleghi di The Block:
La stima dei costi di produzione è una funzione dell’hashrate e dell’efficienza delle attrezzature di mining, che sono in uno stato di flusso post-halving. Al momento abbiamo una stima di 45.000 dollari (che è leggermente diversa dai 42.000 dollari che prevediamo man mano che le cose si stabilizzeranno nel tempo), ma questa stima attuale di 45.000 dollari cambierebbe con l’evolversi dell’hash rate e dell’efficienza delle attrezzature di mining.
Bitcoin e il protocollo Runes: cosa sta succedendo
La recente analisi dettagliata di JP Morgan su Bitcoin è anche frutto dell’introduzione del recente protocollo Runes che, a differenza di quanto atteso, è stato protagonista di un crollo delle attività e delle entrate dalle commissioni dopo un aumento iniziale seguente l’halving di Bitcoin. La conferma arriva dagli analisti di JP Morgan che hanno spiegato:
Tuttavia, la spinta di Runes si è rivelata di breve durata con l’attività degli utenti e le commissioni che sono diminuite drasticamente nelle ultime due settimane. Ciò evidenzia la sfida in corso affrontata dai minatori di bitcoin per mantenere una fonte di entrate sostenibile, in particolare nell’ambiente post-halving.
In conclusione, secondo gli analisti questo esodo fa parte di un ciclo naturale strettamente dipendente dai prezzi di Bitcoin. Il loro calo obbliga i miner meno redditizi a uscire dalla rete, riducendo così l’hashrate e i costi di produzione. Resta comunque ferma l’idea che la prima criptovaluta al mondo per capitalizzazione segnerà un rialzo nei prezzi favorito da quello che sta succedendo negli Stati Uniti e a Hong Kong in merito agli ETF spot.