Che quella alla base della blockchain delegata alla gestione delle criptovalute sia una tecnologia energivora è fuori discussione. Un problema avvertito in primis nei paesi dove le operazioni di mining sono più intense: la Cina su tutti, poi l’Iran, ne abbiamo scritto più volte anche su queste pagine. Per porre rimedio alla situazione a Pechino hanno persino valutato l’ipotesi di mettere al bando i Bitcoin.
I Bitcoin e il consumo di energia
Ma quanta elettricità richiedono le monete virtuali? Molta, moltissima. I Bitcoin nello specifico più della Svizzera. Ad affermarlo uno strumento messo online questa settimana da CBECI (Cambridge Bitcoin Electricity Consumption) che stima il consumo di energia in tempo reale (aggiornato ogni 30 secondi) e di conseguenza calcola quello annuo: l’infrastruttura decentralizzata sulla quale vengono registrate le transazioni dei BTC assorbe 60,45 TWh ogni dodici mesi. Il paese elvetico si ferma a 58,46 TWh, la Repubblica Ceca arriva a 62,34 TWh, l’Italia 293,5 TWh.
Per capire l’enorme impatto della crypto è sufficiente pensare che brucia lo 0,25% circa dell’energia prodotta a livello globale. E il riferimento, lo ribadiamo, è solo a Bitcoin, non ad altre criptovalute come Ethereum. Il grafico allegato qui sotto ben fotografa la crescita degli ultimi cinque anni. Si tenga come riferimento la linea gialla (le altre rappresentano i picchi): si è passati da poco più di 2 TWh di metà 2014 agli attuali 60,45 TWh.
Alcuni analisti stimano che i nodi della blockchain sulla quale poggia lo scambio di Bitcoin processino ogni anno meno di 100 milioni di transazioni. Un numero infinitesimale se paragonato ai circa 500 miliardi delle realtà che operano nella finanza più tradizionale. È dunque lecito parlare di un consumo eccessivo? Sì. E le ragioni sono da ricercare nella natura stessa del registro condiviso, nonché nell’attività degli hardware delegati alle operazioni di mining.
Difficile oggi stabilire se la crescita conoscerà un rallentamento o se proseguirà come visto nell’ultimo quinquennio. La struttura decentralizzata delle criptovalute rende per definizione quasi inattuabile ogni tentativo di governarle. È possibile che il settore possa cambiare (o evolvere, a seconda dei punti di vista) con l’ingresso di un progetto come Libra, annunciato di recente da Facebook e alcune decine di partner, destinato a debuttare il prossimo anno con l’ambizione di assestare un colpo deciso alle dinamiche che oggi regolano l’economia su scala mondiale.