Come noto, il mining delle criptovalute consuma molta energia (91 TWh solo quest’anno, come il Pakistan) e l’approvvigionamento non sempre avviene facendo leva su fonti pulite e rinnovabili; anzi, per dirla tutta, quasi mai in modo volontario. Ne consegue un enorme impatto sull’ambiente da parte delle infrastrutture decentralizzate su cui poggiano Bitcoin e gli altri asset digitali della categoria. Quali sono le conseguenze della loro recente messa al bando da parte della Cina? Forse all’orizzonte non ci sono buone notizie per i sostenitori di una svolta eco-friendly.
Crypto ancora meno sostenibili senza il mining cinese?
La ragione è semplice: se come sostiene un certo Elon Musk è impossibile distruggere le crypto, qualcuno deve farsene carico. In altre parole, chiusi i confini da Pechino, la loro gestione non può che spostarsi verso lidi differenti, accelerando un esodo a dire il vero già in atto da tempo, verso paesi quali Kazakistan, Iran, Malesia, Russia e Stati Uniti dove, paradossalmente, l’elettricità impiegata per alimentare i dispositivi potrebbe provenire da centrali con impatto ancora maggiore rispetto a quelle cinesi.
Più nel dettaglio, in Kazakistan solo l’1,4% dell’energia consumata nel 2018 è stata prodotta da fonti rinnovabili (la quota più grande è attribuita al carbone). In Russia a dominare sono i combustibili fossili. Negli USA, l’improvvisa impennata delle richieste, ha portato al riavvio di impianti già dismessi, come nel caso di quelli situati a Dresden (New Work) e Venango County (Pennsylvania), basati principalmente su gas naturale.
Iniziative come quella legata alla nascita del Bitcoin Mining Council sono state messe in campo proprio per evolvere il mining nel nome della sostenibilità, perseguendo al tempo stesso l’obiettivo non secondario di evitare che alle criptovalute possa essere appiccicata l’etichetta di tecnologia inquinante, con tutto ciò che ne conseguirebbe in termini di supporto da parte di pubblico, investitori e autorità. Certo, alcune uscite devono essere necessariamente interpretate tenendo in considerazione che giungono da addetti ai lavori non disinteressati.