Si è soliti far riferimento a Bitcoin come alla criptovaluta per eccellenza. Per molti rappresenta l’espressione più alta, nota e accettata (in termini di adozione) del concetto di finanza decentralizzata. E se qualcuno, all’improvviso, spazzasse via queste convinzioni? Un documento (PDF) appena pubblicato oltreoceano, frutto di una collaborazione tra ricercatori di diversi istituti e università, getta le basi per una riflessione potenzialmente in grado di riscrivere la storia o almeno le origini dell’asset.
Tra i partecipanti figura anche Jaron Lanier. Per chi non ne fosse a conoscenza, è un artista e compositore oltre che ex dipendente Microsoft e creatore della periferica Kinect per le console della serie Xbox. È inoltre universalmente riconosciuto come padre della locuzione “virtual reality” oggi impiegata per indicare tutto quanto inerente all’ambito della realtà virtuale.
Le vere origini di Bitcoin, un nuovo studio
Tra i molti punti toccati, uno in particolare merita di essere messo in evidenza. Stando ai dati raccolti, durante le prime fasi del mining (tra il 2009 e il 2011), un gruppo di soli 64 agenti avrebbe estratto la maggior parte dei BTC in circolazione.
Dal lancio alla parità con il dollaro, la maggior parte dei Bitcoin è stata estratta da solo 64 agenti. Complessivamente, hanno ottenuto 2.676.800 BTC, oggi equivalenti a 84 miliardi di dollari. La cifra è 1.000 volte inferiore rispetto alle stime precedenti (75.000) a proposito delle dimensioni originali della community.
Secondo i ricercatori, quasi tutte le transazioni generate fino alla fine del 2017 sono in qualche modo riconducibili a indirizzi associati a questo ristretto gruppo di pionieri. Sono coloro che, per primi, hanno creduto nella visione di Satoshi Nakamoto.
Come lecito attendersi, il più grande agente è associato a Satoshi Nakamoto, a cui sono ricondotti 1.108.550 BTC, oggi 34,7 miliardi di dollari.
Il documento non si limita a trarre questa conclusione. Afferma inoltre che il mito della privacy garantita dalla criptovaluta è di fatto privo di fondamento e che le istituzioni di alcuni paesi (USA, Cina e Israele su tutti) ne sono a conoscenza da lungo tempo. Avrebbero deciso di non rivelarlo pubblicamente per non intaccare quell’aura quasi mistica di anonimato che ha sempre circondato l’asset, assicurandosi al tempo stesso la possibilità di risalire senza troppe difficoltà, in caso di bisogno, alla reale identità di chi esegue i movimenti.
Se oggi gli exchange come Binance sono tenuti al riconoscimento di chi esegue trading sulle loro piattaforme, per lungo tempo non è stato così. La dinamica, quasi inevitabilmente, ha talvolta mostrato il fianco ad abusi.