Le criptovalute vanno dichiarate nella denuncia dei redditi? La risposta è di per sé relativamente semplice, ma ruota attorno a specifici principi tecnici che vanno ben conosciuti. Chi non è certo di poter procedere nel modo più corretto può far riferimento al proprio commercialista o ricevere tutte le istruzioni da piattaforme di investimento come eToro che, a fronte di una qualsivoglia operazione, offre resoconti e istruzioni fiscali declinate ad ogni singolo Paese ed alle relative normative.
Quadro RW
Tutto ruota attorno al cosiddetto “Quadro RW“: è in questo spazio che andrebbero indicati i propri investimenti in criptovaluta. Se dunque si fa fronte ad un acquisto di Bitcoin, ad esempio, è esattamente nel quadro RW che tale valore di transazione andrà indicato. L’obbligo, però, in realtà non sussiste in tutti i casi.
Chi acquista e possiede criptovalute tramite una chiave privata o su di un wallet privato, ad esempio, non ha dovere alcuno di segnalare tale asset sulla dichiarazione annuale dei redditi. L’obbligo scatta invece quando si utilizzano exchange e wallet con residenza fiscale estera: in tal caso i propri acquisti vanno certificati nell’apposito Quadro RW.
Le informazioni sono state messe nero su bianco dall’Agenzia delle Entrate nei mesi scorsi, quando l’ascesa delle criptovalute era sostanziale ed erano in molti a trarre lucro sul proprio portafoglio Bitcoin. Ora che il mercato è tornato a farsi interessante, ed alla luce delle ultime scadenze annuali per la presentazione della Dichiarazione dei Redditi, è importante capire come questi asset possano configurarsi agli occhi del Fisco.
Quanto si paga in termini di tassazione, invece, è stato precisato a suo tempo dall’Agenzia delle Entrate:
i fini delle imposte sul reddito, delle persone fisiche che detengono Bitcoin (o altre valute virtuali) al di fuori dell’attività d’impresa, alle operazioni di conversione di valuta virtuale si applicano i principi generali che regolano le operazioni aventi ad oggetto valute tradizionali.
Conseguentemente, le cessioni a pronti di valuta virtuale non danno origine a redditi imponibili mancando la finalità speculativa, salvo generare un reddito diverso qualora la valuta ceduta derivi da prelievi da portafogli elettronici (wallet), per i quali la giacenza media superi un controvalore di euro 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta, ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera c-ter), del testo unico delle imposte sui redditi approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), e del comma 1-ter del medesimo articolo.
Per piccole operazioni e piccoli asset, insomma, la cosa più comoda è affidarsi a piattaforme note e affidabili, così da poter avere maggior facilità e sicurezza nella gestione delle criptovalute acquistate ed avere tutto il supporto necessario anche dal punto di vista fiscale. Ogni complicazione, infatti, potrebbe altrimenti rapidamente diventare più onerosa dell’investimento effettuato.