Il sito Digiconomist ha verificato il trend di consumo energetico associato alla creazione di Bitcoin nel mese di ottobre. L’incremento della criptomoneta in circolazione sembra registrare un tasso di crescita vertiginoso e costante. Il mining di Bitcoin (una sorta di “coniatura” della moneta virtuale”, che avviene risolvendo i blocchi della blockchain , è un processo che prevede calcoli impegnativi e risoluzioni di algoritmi complessi. Le macchine impiegate, messe sotto sforzo, consumano ingenti quantità di elettricità , primo vero fabbisogno necessario a garantirne la corretta diffusione. La correlazione tra diffusione della moneta virtuale e consumo energetico è quindi evidente, così come lo sono gli effetti deleteri per l’ambiente , a partire dal rilascio di anidride carbonica nell’atmosfera.
La situazione sembra essere preoccupante. Per produrre Bitcoin viene consumata più energia che il fabbisogno dell’intera Nigeria in un anno , Stato che ospita 186 milioni di persone. E gli esempi sono ancora molti. Ogni transazione basata su Bitcoin (circa 300mila al giorno) assorbe mediamente 215 KWh con picchi minimi che non scendono al di sotto dei 77 KWh. Si tratta della stessa energia consumata per il mantenimento di una buona abitazione negli Stati Uniti. E la tendenza sembra destinata a peggiorare. Secondo Alex de Vries di Digiconomist, i miner (coloro che generano la criptovaluta tramite mining) di Bitcoin sprecheranno l’equivalente energetico sufficiente ad alimentare 2,26 milioni di case americane. Secondo il suo punto di vista “il sistema di generazione dei Bitcoin è “inefficiente, in quanto basato sul creare fiducia partendo da un sistema basato sulla sfiducia”. E il problema dell’inefficienza energetica è un altro nodo che viene al pettine.
Al vaglio ci sono progetti e migliorie che promettono di raddoppiare la produzione di Bitcoin partendo dalla stessa energia usata. È il caso di SegWit2x , ma non è sufficiente a far fronte alla crescente domanda. Nel momento in cui grandi player di mercato entreranno nell’economia delle cripto monete, infatti, è sicuro che il suo utilizzo diverrà ancora più popolare.
Proprio in questi giorni è stata diffusa la notizia che Amazon avrebbe acquistato alcuni nomi a dominio relativi alle monete virtuali, nello specifico amazonethereum.com, amazoncryptocurrency.com e amazoncryptocurrencies.com che vanno ad aggiungersi ad amazonbitcoin.com, registrato nel 2013 e usato come redirect al marketplace. Parallelamente è stato registrato anche amazonripple.com che in questo caso rimanda al sito dell’omonima criptomoneta, anche se in questo caso la registrazione non è stata effettuata da Amazon.
Che il gigante dell’e-commerce stia fiutando l’affare delle cripto monete? A sentire i suoi vertici sembrerebbe di no. Almeno per il momento. A chiarirlo è stato il vice presidente di Amazon Pay Patrick Gauthie, secondo il quale mancherebbe ancora una vera richiesta per pagamenti con queste modalità. La registrazione dei domini sarebbe quindi sono un modo per tutelare il marchio.
Ma intanto Bitcoin cresce, e cresce anche il suo valore, con un guadagno da inizio anno del 500 per cento, sfiorando ormai quota 7000 dollari. Ulteriore riprova che quello delle cripto monete è un affare serio, attorno al quale girano interessi allettanti per il mondo della finanza ma anche delle aziende, specialmente quelle dedite a sviluppare operazioni di “mining” profittevoli e più smart anche dal punto di vista del consumo energetico. Da che parte arriverà la soluzione?