Se c’è qualcuno o qualcosa dietro al clamoroso dietrofront promesso nei giorni scorsi da Comcast negli Stati Uniti sui filtri ad Internet, filtri che intende rimuovere entro fine anno, questa è l’Autorità TLC locale: la Federal Communications Commission – FCC si è scagliata direttamente contro i filtri posti dall’azienda sulla connettività dei propri utenti, e lo ha fatto in nome della neutralità della rete. Le major possono non apprezzare , ma il peer-to-peer filtrato da Comcast viola uno dei paradigmi fondamentali di Internet e, soprattutto, minaccia le sue potenzialità di sviluppo. E su questo FCC non ha voluto sentire ragioni, tanto che anche adesso, anche dopo l’annuncio del Grande Ripensamento, il suo chairman ha fatto sapere di continuare ad essere preoccupato e, sostanzialmente, di fidarsi ben poco di un’azienda che fino a ieri sputava sulla neutralità della rete.
C’è poi un altro movente della retromarcia annunciata da Comcast. Ed è naturalmente la sua immagine . Nonostante le notevoli dimensioni, si parla di un provider che opera a diversi piani di intervento e servizi in quasi tutti gli Stati Uniti e che gestisce milioni di clienti, persino Comcast ha dovuto prendere atto dei serissimi guasti alle proprie pubbliche relazioni causate da una politica cieca su uno dei terreni più scivolosi della comunicazione online.
Ma ciò che più fa riflettere dell’accordo stretto dal provider con BitTorrent Inc., seguito dall’ annuncio che i filtri sarebbero stati rimossi, è che Comcast abbia messo in campo, ed era ora, l’intenzione di investire molto di più in infrastrutture di rete .
Se alle parole veloci di un comunicato stampa emesso per placare gli animi seguiranno i fatti, allora si tratta di un’affermazione di grande portata. Alle questioni incandescenti dell’affollamento di banda causata da un’attività di sharing di file che impegna molti milioni di utenti in tutto il Mondo, l’unica risposta accettabile, accettabile dalle autorità di controllo e accettabile dai consumatori, è incrementare le potenzialità delle proprie reti , rinnovare i condotti dentro cui corrono i dati e rimediare così ad un ritardo che si è accumulato, ad uno scollamento tra le esigenze dei propri clienti, quelle di scaricare e condividere file, e le capacità del proprio network. In bilico c’è evidentemente tutto un modello economico, ma le incertezze di bilancio, le esitazioni degli investimenti e le politiche di borsa certo non devono impattare sulla crescita di Internet.
Qualcuno ricorderà come di net neutrality si sia spesso parlato anche in Italia e di come le soluzioni che più spesso finiscono al centro del dibattito vadano tutte nella direzione del filtering del traffico o dei servizi QoSsizzati , dove QoS sta per “quality of service”, un modo elegante per raccontare un sistema spesso complesso di pesi e contrappesi per bilanciare i diversi servizi di rete e garantire che gli utenti possano fruirne con una qualità tollerabile nei diversi momenti della giornata. In tutti i casi, quando si parla di questo genere di problema si parla anche di gestione e riduzione del traffico dell’utente, persino di intromissione nella sua connessione e, in definitiva, di contenimento delle sue esigenze . È presto per dire se la sbandierata conversione di Comcast sia sincera davvero: è stato persino molto difficile arrivare a far ammettere al provider che i filtri non solo c’erano ma erano profondi e pervasivi. È possibile che si sia però di fronte a qualcosa di nuovo, innescato da un circolo virtuoso, dagli anticorpi che sulla rete statunitense sembrano essere cresciuti, o forse non sono mai stati distrutti, che la difendono dagli attacchi più lascivi di quell’industria che ci prova e ci riprova fino a quando non sbatte contro un muro.
Non stupisce dunque che vi siano associazioni dei consumatori italiane, come ADUC , che proprio in queste ore si chiedono dove siano le autorità regolamentari italiane, cosa si intenda fare per preservare anche da noi la neutralità della rete . Né ci stupirebbe se domani, anche grazie all’esempio statunitense, l’immagine stessa del file sharing venisse riabilitata: sui media ancor oggi ad ogni nuova sentenza si finisce per discettare di legalità o illegalità del P2P, come se ad essere in gioco fosse davvero lo strumento e non il contenuto. Una possibilità di recupero forse concreta visto il coinvolgimento diretto di BitTorrent Inc. nella retromarcia di Comcast. L’azienda di Bram Cohen, la detentrice del Sacro Protocollo, ha fin qui brillato per la sua sostanziale incapacità di agire da intermediario utile tra le necessità dell’industria e le esigenze dell’utenza. Ma è giusto augurarsi che stavolta possa andare diversamente, magari con l’aiuto di FCC. In ballo non c’è molto, c’è moltissimo, c’è la neutralità della rete, come a dire il futuro di Internet.