A fine 2018 Netflix mette in onda un film la cui fruizione lo fa assomigliare per molti versi ad un videogioco. Una storia spiazzante, con finali multipli. E la cui recensione diventa una analisi complessa che merita specifiche accortezze.
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Black Mirror Bandersnatch
BanderSnatch è un film interattivo prodotto da Netflix e parte integrante della nota serie Black Mirror. La sua particolare struttura si intreccia con la sua storia di Stefan Butler, ossia quella di un ragazzo che, nello sviluppare un videogioco tratto da un libro, si trova all’interno di un percorso fatto di scelte che influenzeranno sia l’esperienza dell’utente, sia quella del protagonista. L’intera vicenda si sviluppa su questo doppio binario, ma con percorsi intrecciati che portano l’utente verso il proprio finale attraverso scelte e snodi cruciali. La scelta diventa di per sé protagonista, quindi, trasformandosi in essenza stessa del film per il modo in cui incide sulla storia stessa.
In controllo (↔)
L’intera vicenda è pensata per giocare sul controllo. Ma non si tratta soltanto di un controllo della linea temporale, poiché le scelte agiscono altresì sulle altre scene e le altre vicende (così come espressamente spiegato da uno dei protagonisti, il programmatore di videogiochi Colin Ritman).
Il controllo diventa pertanto un aspetto protagonista della narrazione, essenza stessa dell’esperienza, architrave del progetto. Non solo: grazie alla presenza pervasiva del potere di controllo, il confine tra l’immedesimazione nel protagonista o l’immedesimazione nel burattinaio delle scene diventa sottilissimo, consentendo all’utente di vivere contemporaneamente entrambi i ruoli: un attimo prima si è fuori dallo schermo, un attimo dopo si compartecipa la scelta emotiva del protagonista; un attimo prima si è di fronte al pc del ragazzo che sviluppa Bandersnatch, un attimo dopo si è sul proprio divano con un telecomando o un controller con il potere di uccidere il padre, versare del the sulla tastiera o cedere alla tentazione di mangiarsi le unghie. E su questo viaggio tra il dentro e il fuori si sviluppa gran parte della forza narrativa della nuova stagione di Black Mirror, tutta concentrata in una sola puntata.
Un giudizio possibile (↔)
Un giudizio su Bandersnatch è sicuramente possibile, ma deve essere calibrato in modo differente rispetto al tradizionale giudizio che può essere composto su un film. Bandersnatch, infatti, è un’esperienza a metà tra la fruizione passiva di un film tradizionale e la fruizione attiva di un videogame tradizionale, ricreando ex-novo un genere unico. Il giudizio non può essere dunque calibrato sulla storia, poiché non esiste una sola storia e, soprattutto, il percorso è frutto tanto delle opzioni immaginate dagli autori, quanto delle scelte individuali volute dall’utente di fronte allo schermo. Gli autori scaricano parte della responsabilità del percorso sull’utente, ma è proprio questo aspetto ad esaltare la bontà dell’immaginario complessivo delle soluzioni possibili.
Il giudizio deve andare oltre la storia stessa, quindi, per fotografare l’esperienza. Solo così il giudizio ha senso in sé e di per sé; solo così un giudizio può avere un valore. In caso contrario avrebbe valore doppiamente soggettivo, allontanandosi eccessivamente da quello che è il già difficile compito di valutare un’esperienza di intrattenimento tradizionale.
Le linee del tempo (↔)
La possibilità di scelta dell’utente trova in Bandersnatch un’evoluzione narrativa di grande interesse nella possibilità di confondere, mischiare e rinnovare le linee temporali del racconto. Non solo la linea temporale di quest’ultima è tutto fuorché lineare (ma questo è un espediente di cui qualsiasi sceneggiatore ha piena padronanza), ma nelle scelte tra le varie scene si viene a generare una ulteriore commistione di percorsi e di significati, generando valore ulteriore all’interno di una quarta dimensione del racconto.
Il tempo è relativo, mai come in questo caso, e ciò favorisce la capacità degli autori di creare introspezione e coinvolgimento. Nelle linee temporali dei vari racconti possibili c’è dunque non soltanto un trasferimento ideale tra un punto A e un punto B del racconto, ma c’è anche l’intera gamma delle sfumature emotive che questo viaggio genera. Il che ha una forza narrativa del tutto nuova e del tutto forte.
Non è solo tv (↔)
Bandersnatch è qualcosa di estremamente coraggioso per molti motivi: un esercizio di stile estremamente complesso (ma di successo), uno sforzo filosofico prima ancora che di puro intrattenimento, un rischio calcolato e portato a termine con estrema padronanza del mezzo.
Non è più tv e questo è chiaro: il fatto che l’utente abbia continuamente in mano la direzione del racconto implica maggior coinvolgimento e maggior empatia, trasformando il momento della scelta in un passaggio di grande enfasi emotiva (sottolineata tanto dalla grafica, quanto dalle inquadrature, quanto ancora dagli effetti sonori). L’utente diventa dunque ripetutamente protagonista della vicenda, scendendo direttamente sulla scena con le proprie azioni e la propria immaginazione. La “passività” della tv tradizionale è superata all’interno di una esperienza che configura un nuovo modo di stare di fronte alla storia, dentro alla storia e forse entrambe le cose allo stesso tempo.
Fuori controllo (↔)
L’intera vicenda è teoricamente pensata per giocare sul concetto di controllo. Non si tratta infatti soltanto di un controllo della linea temporale, poiché le scelte agiscono altresì sulle altre scene e le altre vicende (così come spiegato da uno dei protagonisti, il programmatore di videogiochi Colin Ritman). Su questo concetto si basa l’intero costrutto narrativo, nonché l’essenza stessa dell’esperienza, e su questo concetto si tenta di reggere l’intero progetto.
La presenza ossessiva, reiterata e pervasiva del potere di controllo, però, supera con eccessiva libertà il confine tra l’immedesimazione nel protagonista e l’immedesimazione nel burattinaio delle scene, impedendo di fatto all’utente di vivere contemporaneamente entrambi i ruoli (come da probabile ambizione degli autori): un attimo prima si è fuori dallo schermo, un attimo dopo ci si trova immersi a forza nella scelta emotiva del protagonista; un attimo prima si è di fronte al pc del ragazzo che sviluppa Bandersnatch, un attimo dopo si è sul proprio divano con il potere di uccidere il padre, versare del the sulla tastiera o “imporre” la tentazione di mangiarsi le unghie. Su questo viaggio tra il dentro e il fuori si scioglie gran parte della forza narrativa della nuova stagione di Black Mirror, tutta concentrata in una sola puntata.
Un giudizio impossibile (↔)
Un giudizio su Bandersnatch è probabilmente impossibile, poiché deve essere giocoforza calibrato in modo differente rispetto al tradizionale giudizio che può essere composto a proposito di un film. Bandersnatch, infatti, è un’esperienza a metà tra la fruizione di un film tradizionale e la forzosa proattività di un videogame tradizionale: il tutto si posiziona all’interno di una zona inesplorata – non per questo originale, ma comunque coraggiosa. Il giudizio non può essere dunque calibrato sulla storia, poiché non esiste una sola storia e, soprattutto, il percorso è frutto tanto delle opzioni immaginate dagli autori, quanto delle scelte individuali volute dall’utente di fronte allo schermo. Gli autori scaricano parte della responsabilità del percorso sull’utente, tenendosi per sé la bontà dell’immaginario complessivo delle soluzioni possibili
Il giudizio deve andare giocoforza oltre la storia stessa, quindi, per fotografare l’esperienza complessiva. Solo così il giudizio ha senso in sé e di per sé; solo così un giudizio può avere un valore. Questo porta però ancora una volta lontano dall’esperienza tradizionale, forse anche lontano dalle attese di un utente comune: qualcosa in grado di stupire, insomma, ma di non replicabile in qualità di nuovo modello televisivo possibile.
La linea del tempo (↔)
La possibilità di scelta dell’utente trova in Bandersnatch un’evoluzione narrativa per certi versi puerile, utile a confondere, mischiare e rinnovare le linee temporali del racconto per generare interesse con il semplice artificio della scelta. Non solo la linea temporale della storia è tutto fuorché lineare (e questo è un espediente di cui qualsiasi sceneggiatore ha piena padronanza ed ogni lettore già ben conosce), ma nelle scelte tra le varie scene si viene a generare una ulteriore commistione di percorsi e di significati, generando confusione ulteriore all’interno di un racconto che si fa labirintico. Perdersi è un attimo, ma le scelte vincolate presto smascherano i percorsi obbligati che portano all’uscita.
Il tempo è relativo, mai come in questo caso, ma mentre si tenta di far credere all’utente di essere in pieno controllo, in realtà il controllo è nelle mani degli autori che hanno definito i percorsi possibili. Per certi versi la cosa ha una forza narrativa intrinseca: mentre si tenta di illudere l’utente di avere potere sul protagonista, l’utente si accorge di aver presto perso il controllo sulla trama. Il che rischia di indebolire fin dai primi minuti l’intero architrave dell’esperienza Bandersnatch.
Non è più tv (↔)
Bandersnatch è qualcosa di estremamente coraggioso per molti motivi: un esercizio di stile estremamente complesso (di grande impatto comunicativo, ma dalla sostanza sotto alcuni aspetti discutibile), uno sforzo filosofico prima ancora che di puro intrattenimento, un rischio calcolato e portato a termine non senza qualche sfoggio autocelebrativo.
Non è più tv e questo è chiaro: il fatto che l’utente abbia continuamente in mano la direzione del racconto “impone” coinvolgimento ed empatia, trasformando il momento della scelta in una sorta di celebrity show (sottolineata tanto dalla grafica, quanto dalle inquadrature, quanto ancora dagli effetti sonori). L’utente diventa dunque ripetutamente giudice della vicenda, dominando la scena con le proprie azioni e la propria immaginazione sperando di essere assecondato dai percorsi – giocoforza limitanti – definiti dagli autori. La “passività” della tv tradizionale è solo apparentemente superata all’interno di una esperienza che tenta di creare un nuovo modo di stare di fronte alla storia, dentro alla storia, ma che non sempre riesce a raggiungere le due cose allo stesso tempo.
C’è un prima e c’è un poi
Qualunque sia il giudizio che ognuno si è costruito di fronte a Bandersnatch, probabilmente su una cosa non si può che essere d’accordo. Il nuovo Black Mirror, infatti, ha saputo incidere a fondo (ancor più che non in passato) sull’essenza stessa del concetto di tv. L’esperienza di Bandersnatch è una sorta di hackeraggio del concetto stesso di televisione, poiché ne smonta l’impalcatura univoca su cui si è retta per mezzo secolo ed impone a forza una definizione nuova. L’interattività dell’esperienza (giocoforza limitata, giocoforza preconfezionata) è la leva con cui si pone in definitiva evidenza come la scatola parlante di vecchia memoria oggi altro non è se non uno dei tanti schermi con i quali poter accedere ad un mondo di contenuti. La stessa necessità di avere una smart tv compatibile è qualcosa di per sé significativo, poiché rende lo schermo televisivo niente meno e niente più che un display, mero strumento senza anima.
C’è un prima e c’è un poi. L’esperienza Bandersnatch conferma, moltiplica, amplifica quel che già sapevamo sarebbe successo. L’esperienza Bandersnatch graffia e incide. L’esperienza Bandersnatch accelera la trasformazione agendo direttamente nell’immaginario collettivo esattamente come quel piccolo espediente con cui il protagonista della storia tenta di uscire dal “buco”: presto trova nuove dimensioni del possibile e rimane estasiato dalle incredibili realtà che gli si presentano di fronte.
C’è un prima e c’è un poi. L’esperienza Bandersnatch è probabilmente molto vicina a questa sottile linea rossa. Le buone storie rimarranno buone storie così come le cattive storie rimarranno cattive storie, ma con Bandersnatch è chiaro come le forme del racconto possano ancora trovare un’infinità di nuove soluzioni narrative. Sarebbe estremamente superficiale pensare che sia tutto solo e soltanto ipertesto. Sarebbe estremamente superficiale pensare che sia tutto soltanto un insieme di link. Bandersnatch è molto di più, perché sui click costruisce una vera e propria trama emotiva.
Ecco perché Bandersnatch è, in sé, l’incarnazione ultima del progetto Black Mirror e l’esaltazione definitiva del progetto Netflix. In questa puntata v’è tutto Black Mirror e tutto Netflix, sinergicamente assieme come essenza stessa del racconto, sulle note dello streaming, sui pixel di schermi di ogni dimensione, alla velocità della banda e dei click. Mentre progetta il suo Bandersnatch, il protagonista Stefan Butler sta in realtà facendo molto di più: riprogramma la percezione dei telespettatori, deframmenta l’idea tradizionale di tv e dà il via ad un nuovo gioco. Con nuove regole, nuovi personaggi ed una molteplicità di percorsi possibili.