Blog a Cuba, una valvola di sfogo

Blog a Cuba, una valvola di sfogo

Il regime raziona la connettività, filtra i contenuti e incarcera i netizen dissidenti, ma la voce dei blogger cubani, con qualche espediente, torna a farsi sentire
Il regime raziona la connettività, filtra i contenuti e incarcera i netizen dissidenti, ma la voce dei blogger cubani, con qualche espediente, torna a farsi sentire

L’Avana – Dodici miglia al largo dei cayos di Cuba corre una dorsale sottomarina in fibra, ciò nonostante la celeberrima isola-stato fa affidamento su claudicanti collegamenti satellitari : colpa dell’embargo, sostengono le autorità; un pretesto per mantenere la Rete sotto controllo e ridurre i cittadini al silenzio e all’inconsapevolezza, avvertono invece i critici.

Ma il silenzio a cui è ridotta la Rete sull’isola si interrompe a sprazzi: è Reuters , in un corposo reportage , a tracciare un quadro della blogosfera in uno dei tredici paesi nemici di Internet .

Ad esprimersi liberamente sono pochi giornalisti e accademici del regime, giornalisti e accademici che aderiscono alle linee di condotta del governo castrista, che amplificano e ricamano sulle dichiarazioni di un leader allettato ma carismatico, rivoluzionario e censore. Sono i privilegiati come la giornalista Elsy Fors a poter fruire della connettività Internet, assicurata dal regime perché possano diffondere un’immagine di Cuba rassicurante e positiva . Queste lodi tessute online sono destinate esclusivamente all’estero: solo il due per cento dei cittadini cubani ha accesso alla Rete , mostrano i dati dell’ International Telecommunication Union . Una porzione di popolazione che si potrebbe sovrapporre ai dipendenti statali, unici a poter fruire di account e connettività fornita dal governo.

Certo, esistono anche giornalisti che appongono la firma a post al vetriolo, come Luis Sexto , critico nei confronti di un apparato burocratico tutto da ridiscutere. Nulla a che vedere con Guillermo Farinas , psicologo e giornalista vittima della censura castrista, che si batte per la libertà di espressione online: Sexto si dichiara disposto al dialogo, ma solo per riedificare astrattamente Cuba sulle stesse premesse sulle quali si regge attualmente.

L’autentica voce di Cuba, quella dei cittadini critici e obiettivi, fatica ad emergere. C’è qualche dipendente statale come La Polilla Cubana , impiegata alla Biblioteca Nazionale e incaricata di gestire il bollettino elettronico, che nel 2006 inviava ai suoi sparuti lettori “un abbraccio cordiale e solitario”, e che ora pare si sia rassegnata al silenzio rinunciando a raccontare il suo paese.

Più determinati invece appaiono coloro per i quali la connettività è un bene prezioso da conquistare: non si rassegnano a fruire della sola casella di posta elettronica accessibile presso gli uffici postali, non si abbandonano all’autocensura, nonostante sul loro capo di dissidenti controrivoluzionari pendano condanne a venti anni di carcere , cinque per coloro che tentano di accedere illegalmente alla Rete.
Sono costretti a rivolgersi al mercato nero per dotarsi di materiale informatico che il governo ha bandito dalla circolazione, sfidano filtri e sistemi di alert installati sulle macchine degli Internet café, meccanismi capaci di individuare netizen sovversivi in base alle parole digitate.

Non credono alla propagandata teoria del blocco USA sulle connessioni, come il blogger che gestisce mi isla al mediodia , e si industriano per esprimere la loro opinione, credendo senza vittimismo alcuno nella missione di cui si sentono investiti: “L’intolleranza è ancora la regola a Cuba – ha spiegato il blogger a Reuters – ma la società cubana sta iniziando ad adattarsi alla varietà delle opinioni”.

Un ottimismo che sembra pervadere anche Yoani Sanchez, che, a differenza di numerosi blogger cubani, rinuncia all’anonimato e si espone in prima persona. Ritiene di aver trovato una scappatoia alla censura e al rischio degli arresti , si agghinda da straniera, finge un accento tedesco e s’imbuca nelle hall degli alberghi signorili che punteggiano L’Avana. Siede alle scrivanie riservate ai turisti e sborsa sei dollari all’ora , due settimane di stipendio medio per un cittadino cubano, per una connessione ad Internet non controllata, che le permette di accedere al sito che gestisce, rigorosamente ospitato da server esteri.
Si chiede Yoani Sanchez: “Quali ragioni mi chiamano a impiegare energia e risorse nello scrivere queste disilluse vignette della realtà?” Ha provato con silenzio, concentrazione e training autogeno, nulla da fare: “Ogni nuovo post impedisce che la pressione dentro me raggiunga un livello tale da farmi esplodere”, i kilobyte che affida alla Rete sono una valvola di sfogo alla sua “impotenza civile”, alla poche possibilità di esprimersi che le sono concesse nella vita reale.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
11 ott 2007
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