Quella del blogger sarebbe una professione ormai consolidata: sulle pagine del Wall Street Journal si snocciolano dati statistici dai quali si evincerebbe che più di 450mila cittadini USA abbiano fatto del loro blog la principale fonte di reddito .
Negli Stati Uniti 22 milioni di persone gestiscono un blog personale e i numeri riportati nel pezzo suggeriscono che, fra questi, un milione e 700mila ricevono regolarmente introiti dalla loro attività online. Si arriva persino a dire che un blog capace di attirare più di 100mila impression al mese possa generare un reddito annuo di 75mila dollari. Ciò sarebbe pure vero se le impression invece di essere migliaia fossero milioni: ma questa è una condizione di cui godono solo un pugno di blogger in tutto il mondo.
Ma allo stato attuale delle cose pensare che centinaia di migliaia di persone possano vivere facendo gli opinionisti in rete sembra pura fantascienza. Il mix di statistiche presentato nell’articolo combinerebbe informazioni provenienti da fonti diverse e formulate in periodi differenti con il risultato di rendere il quadro offerto una vera e propria crosta mediatica.
L’unica fonte che gode di un certo credito è il rapporto sullo stato della blogosfera compilato da Technorati ad inizio 2008. Anche in questo caso basta farsi largo tra la moltitudine di grafici e tabelle comparative per rendersi conto che il ricavo pubblicitario annuo di un signor blogger si aggira mediamente sui 22mila dollari, cioè meno di un terzo della cifra apparsa sulle colonne del Journal . Non c’è dubbio che alcuni professionisti stipendiati da grandi aziende possano capitalizzare di più ma non è certo la consuetudine. Se fosse vero, negli USA vi sarebbero più blogger che pompieri.
Il blog è inoltre un contenitore di informazioni spesso privo di un’autorevolezza riconosciuta ufficialmente . È vero che più lettori ci sono più i contenuti sono degni di interesse, ma ciò non sempre può bastare: alcuni ricercatori dell’ Austriàs Competence Center for Knowledge Management stanno ultimando un algoritmo che analizza i contenuti web e che li indicizza secondo un grado di attendibilità. Ciò che potrebbe non convincere nel progetto è il metro di paragone utilizzato per assegnare più o meno credibilità: porre i mass media come cliché in cui debbano rientrare i post appare riduttivo e offusca la peculiarità di Internet di permettere a tutti di poter esprimere liberamente la propria opinione.
L’affermazione del blog come ente di informazione è sicuramente ben avviata ma non ne fa la macchina da soldi prospettata dal WSJ . Esistono già da tempo degli strumenti che permettono di tirare su qualche spicciolo come Google AdSense ed altri più discutibili come PayPerPost , ma nell’immaginario collettivo vi sono tanti altri modi di intendere il blogging: equiparare il fenomeno alla corsa all’oro sullo Yukon non sembrerebbe uno di quelli.
Giorgio Pontico