La class action lanciata da due consumatori statunitensi, che potrebbe colpire Microsoft e la sua campagna per i computer “Vista Capable”, è ad un punto cruciale: il giudice Marsha Pechman, che amministra il caso, ha accettato di sospendere il procedimento in attesa della decisione sulla attribuzione della definizione di causa collettiva della Nona Sezione della Corte Federale di Appello. Nessuna data è stata ancora fissata per la discussione del ricorso.
Microsoft proprio non ci sta : secondo quanto sostenuto dai suoi legali, la causa mossa contro il gigante del software non avrebbe neppure ragione di esistere. Perché BigM è appunto un produttore di software , e con l’hardware c’entra poco e niente. Ma nella faretra degli avvocati di Redmond ci sono anche altre frecce.
Sono due le obiezioni con le quali Microsoft spera di scrollarsi di dosso il rischio di una class action. La prima, più semplice, è che uno dei due attori della querela non risiede neppure nello stato di Washington dove è stato avviato il procedimento. La seconda, più complessa, riguarda la possibilità dell’accusa di dimostrare la presunta inflazione dei prezzi dei computer definiti “Vista Capable”.
Per gli avvocati di BigG non ci sarebbe modo di provare che la campagna promozionale che aveva preceduto il lancio di Vista abbia realmente causato un danno alla collettività dei consumatori. Messi assieme, sostiene Microsoft, questi due vizi procedurali dovrebbero bastare a fare piazza pulita dello status di class action, e ricondurre il procedimento entro i più confortevoli binari della causa di due privati contro una corporation.
Microsoft teme anche per l’impatto che questa vicenda potrebbe avere sul suo business: una class action comporterebbe un grosso impegno sul piano del supporto da offrire alla corte e agli avvocati, distogliendo risorse importanti dalla attività quotidiana del personale di Redmond. Senza contare il danno di immagine che la diffusione di documentazione interna sta arrecando alla azienda.( L.A. )