Sospendiamo per una pagina il giudizio sulla privacy, la censura e il resto dei punti oscuri di bigG. Pensiamo al ruolo che Google oggi possiede in relazione a media e cultura. Mi riferisco in particolare a tre situazioni molto simili tra loro. La prima è l’accordo con cui la RAI ha aperto un canale su YouTube per diffondere materiale prodotto con il nostro canone. L’inizio non era dei migliori, la RAI intima a YouTube di rimuovere video coperti da copyright. La conclusione è stata un accordo perché il servizio pubblico aprisse un canale su YouTube, ad oggi tra i più visti. La seconda è la faccenda di Google Books e l’associazione degli editori americani. Anche in questo caso le cose iniziano male, Google viene denunciata per aver riprodotto qualche milione di volumi senza permesso, anche in questo caso il finale è diverso: Google paga una penale, ma trova un accordo sulla distribuzione dei libri . Infine, quello che è successo con i siti di giornalismo: qui il caso è ancora in divenire ma si delinea una conclusione simile, con Google che promuove nuove forme di accesso con micropagamenti . Il leitmotiv che lega questi casi è che le attuali leggi che regolano il diritto d’autore sono così sproporzionate nel dare potere agli editori che rappresentano un freno per qualsiasi attività correlata.
Cosa ha fatto Google? Ha dato spazio a copie di programmi della RAI, ha pubblicato estratti di libri ancora coperti da copyright, ha indicizzato ed aggregato notizie da altri siti, tutto senza senza detenere i diritti sui contenuti con cui opera. Attività per cui è molto difficile dimostrare un danno diretto agli editori, mentre è ovvio il vantaggio per Google e per i suoi milioni di utenti. Attività che in molti paesi sono sufficienti per una condanna ma che Google ha intrapreso comunque, prendendo un rischio ma immaginando di poter trovare un equilibrio finale.
Che cosa succederebbe se domani io inventassi un servizio di preview per musica? Un sito pieno di pubblicità dove caricare i primi 30 secondi di milioni di pezzi coperti da copyright? Molto rapidamente le associazioni di discografici riuscirebbero a far chiudere il sito ed a farmi passare la voglia di riprovarci. Con Google è un po’ più difficile, non solo per le risorse che può mettere in campo ma soprattutto perché è disposta a pagare centinaia di milioni in multe pur di trovare un accordo ed essere il primo sito ad offrire un certo servizio. A Mountain View hanno evidentemente capito che le loro soluzioni non sono vantaggiose solo per Google ma anche per gli editori stessi, quindi confidano che un accordo alla fine si troverà. È però più facile per Google trovarlo quando l’infrastruttura è già in piedi, milioni di utenti usano il servizio ed il potere contrattuale verso gli editori è molto più forte perché anche loro intravedono dei guadagni concreti. Nel dubbio, un nuovo servizio viene lanciato, sapendo che insieme arriveranno le querele, poi si troverà una soluzione.
È un altro esempio del fatto che le leggi sul diritto d’autore avvantaggiano solo chi ha i soldi per attaccare (o per difendersi), ma in questo caso, al contrario dei precedenti, i soldi stanno dalla parte di qualcuno che ha interesse a fornire servizi agli utenti. Intendiamoci, Google fa il suo interesse, ma da qualche anno ci siamo abituati al fatto che l’interesse di Google produca servizi utili agli utenti. Una volta sfondata la porta, altre aziende potranno seguire (antitrust permettendo) e prima o poi la pratica verrà accettata magari anche dalle leggi.
La questione di Google Books poi è collegata alle prospettive dell’editoria e del giornalismo online. Sono molti anni che si parla della scomparsa dei libri e dei quotidiani cartacei, che nella pratica ancora non avviene. Oggi però qualche novità si intravede se produttori come Asus pensano veramente di vendere ebook reader ad un prezzo vicino a 100 euro. Al contrario degli attuali lettori di ebook si tratta di oggetti che molte persone potrebbero veramente comprare. Con quali conseguenze? Che probabilmente cominceranno a comprare anche libri online, ad abbonarsi a riviste e giornali in formato elettronico e conseguentemente ad abbandonare progressivamente il cartaceo. Teniamo presente che l’unica differenza sostanziale tra un file mp3 un video ed un libro, per come comunemente li usiamo oggi, è che il libro ha ancora la sua fisicità. Domani, se questa verrà meno potremmo rivedere anche in questo settore un film conosciuto: il p2p, la pirateria, la lotta alla pirateria ecc… Questa situazione l’hanno intuita gli editori e stanno cercando di capire dove posizionarsi. C’è chi ha trovato un accordo con Google, chi lo sta cercando, chi non ne vuole sapere.
Un’altra differenza con gli mp3 in realtà esiste: chi ha un libro di carta difficilmente può metterlo online in formato digitale come faceva con un CD. Non è una differenza da poco, perché il successo del file-sharing di musica deriva dal fatto che il catalogo, oltre che gratuito, è sterminato. La musica digitale infatti esisteva da ben prima del p2p (tutti hanno imparato cosa vuol dire rippare un CD) e sulle reti di sharing si trova una buona parte della storia della musica. Con i libri la stessa cosa sarebbe più difficile, perché il libro digitale nasce insieme alla tecnologia per leggerlo (o quasi) e finora solo una piccola parte è stata digitalizzata. Ad esempio, il catalogo di ebook di Amazon contiene 300.000 libri , che sono meno di quanti sono stati pubblicati nel 2005 solo in Gran Bretagna e Stati Uniti .
Google gioca un ruolo importante perché sta stringendo accordi con editori e biblioteche per digitalizzare i contenuti e sta portando su internet quei libri che gli utenti da soli faticano a digitalizzare. Invece che milioni di ragazzi che rippano libri, potremmo avere milioni di libri rippati da Google. Non c’è solo Google a digitalizzare contenuti: Europeana, il progetto Gutenberg, in Italia liberliber sono progetti che digitalizzano libri, per la maggior parte nel pubblico dominio. Lo fa anche Google (per certi aspetti in modo criticabile ) ma proprio in virtù della sua posizione di forza sta dando un’accelerata al processo digitalizzando anche libri coperti da copyright, per la maggior parte fuori stampa. Tenete presente che al contrario di quanto accade per la musica la maggior parte della letteratura è già nel pubblico dominio. Pensate a tutti i libri che vi hanno chiesto di leggere o studiare a scuola, quanti dei loro autori sono morti da meno di 70 anni?
Concludendo, il film in questo caso potrebbe essere diverso, perché le tanto vituperate reti p2p potrebbero essere utilizzate prevalentemente per scaricare contenuti nel pubblico dominio o che pur essendo ancora coperte da copyright, non sono più in stampa, quindi fisicamente fuori commercio; le case editrici dovranno adeguarsi alla concorrenza legale di milioni di classici. Speriamo che inventino qualcosa di meglio di quanto hanno fatto i loro colleghi per la musica, visto che sarà molto difficile piangere miliardi di perdite facendo leva sull’analogia tra copia pirata e mancato acquisto di un’opera fuori stampa…
Leonardo Maccari
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