350 milioni di euro in IVA evasa tra il 2013 ed il 2019: è questa l’ipotesi alla base dell’inchiesta firmata dalla Procura della Repubblica di Genova, che nel mirino ha messo Booking.com relativamente all’intermediazione sugli affitti delle abitazioni di privati senza partite IVA. Sulla base di quanto segnalato dal Sole 24 Ore, infatti, questo tipo di operazione avrebbe avuto una forte impennata, superando addirittura le attività registrate con gli Hotel e generando pertanto una nuova importante distorsione su di un mercato già di per sé fortemente sotto pressione.
Il sistema Booking.com
L’inchiesta, spiega il giornale di Confindustria, “presto porterà alle prime iscrizioni nel registro degli indagati, con responsabilità diretta della società amministrata da Glenn Fogel“:
in ballo c’è un importante gettito fiscale, che sfugge totalmente al controllo. L’inchiesta è condotta dal procuratore aggiunto Francesco Pinto e dal sostituto Giancarlo Vona, che stanno ricostruendo un presunto «sistema» che consente alla società, con sede in Olanda, di far sparire l’Imposta sul valore aggiunto legata, esclusivamente, all’intermediazione per l’affitto di abitazioni di proprietà di privati che non hanno partita Iva. In questo caso, infatti, Booking dovrebbe operare in qualità di sostituto di imposta, registrandosi in Italia o utilizzando un rappresentante fiscale. Invece la tassa non è neanche dichiarata, con il risultato che l’azienda è sotto procedimento giudiziario per violazione della legge sui reati tributari.
Nello specifico, Booking.com avrebbe applicato il “reverse charge” anche quando la struttura ricettiva è priva di partita IVA, il che però rappresenta un’elusione poiché di fatto nessuno ne versa l’addebito allo Stato: il fatto che su alcune fatture verificate su Genova non avessero IVA indicata ha portato alla scoperta del tutto ed ora Booking dovrà rispondere del proprio operato. Secondo Federalberghi, “se la struttura ricettiva ha la partita Iva, essa si di dovrà fare carico del versamento in regime di inversione contabile. Se la struttura non ha partita Iva, dovrà essere invece il portale ad identificarsi in Italia e ad emettere fattura con Iva Italiana“.
Il problema è chiaramente duplice: da una parte v’è la questione fiscale, che le autorità competenti dovranno ora verificare. Dall’altra v’è una competitività ipoteticamente drogata, poiché le tariffe di questo tipo di ricettività restano ridotte di una quota importante che gli utenti non versavano e che consentivano pertanto di rendere più appetibile l’offerta: “Quello degli appartamenti privati è un business molto spesso privo di ogni forma di controllo e tutela per i consumatori. A preoccuparci è soprattutto la concorrenza sleale verso l’attività di impresa, che a differenza del privato che non ha partita Iva, paga regolarmente l’Imposta“.