Roma – Secondo l’attuale normativa italiana in materia di giochi e scommesse è punito l’esercizio abusivo del gioco del lotto o di scommesse o concorsi pronostici che la legge riserva allo Stato o ad altro ente concessionario; parimenti è punibile chi svolga in Italia qualsiasi attività organizzativa al fine di accertare o raccogliere o comunque favorire l’accettazione o in qualsiasi modo la raccolta, anche per via telefonica o telematica, di scommesse di qualsiasi genere da chiunque accettata in Italia o all’estero.
C’è quindi da chiedersi come possa configurarsi giuridicamente la posizione dell’internet point dal quale sia possibile effettuare scommesse con bookmaker straniero.
Secondo quanto stabilisce il Trattato CEE, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro sono vietate. Tale divieto di estende altresì alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di altro Stato membro.
Ma che cosa si intende in questa norma per libertà di stabilimento? Stabilirsi vuol dire accedere alle attività non salariate ed al loro esercizio nonché poter liberamente costituire e gestire imprese e società. Di conseguenza, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno della Comunità sono vietate verso i cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della Comunità che non sia quello del destinatario della prestazione (ovvero salvo il caso di coincidenza tra nazionalità di origine e paese di esercizio della prestazione).
I suddetti principi sono stati recentemente richiamati dalla Corte Europea chiamata ad intervenire proprio da un giudice italiano sul cosiddetto “Caso Stanley”.
Questi i fatti: ad alcune agenzie italiane, collegate via internet con il bookmaker inglese, veniva contestato di aver collaborato sul territorio italiano con un bookmaker straniero all’attività di raccolta di scommesse di regola riservata per legge allo Stato, violando così le disposizioni di cui alla legge. n. 401/89; l’organizzazione delle agenzie collegate alla Stanley funzionava così: il giocatore comunicava all’agenzia italiana i termini della scommessa (somma giocata e partite); l’agenzia italiana inviava via internet richiesta di accettazione al bookmaker il quale ritrasmetteva in tempo reale – e sempre via internet – i risultati. Le somme transitavano poi su conti esteri, con provvigioni rilasciate alle agenzie italiane.
Tale attività veniva valutata dal Giudice italiano in contrasto con il regime di monopolio sussistente sulle scommesse sportive attribuito per legge al CONI.
Ora, da un punto di vista di personalità giuridica, la Stanley è società di capitali inglese titolare di regolare licenza relativa alle scommesse, mentre le agenzie italiane – quelle a cui è stato contestato il reato succitato – sono configurabili come titolari di regolare autorizzazione rilasciata dal Ministero delle Poste e delle Comunicazioni, alla comunicazione di dati, divenendo ufficialmente centro di trasmissione dati.
Premesso ciò, quando il Giudice italiano si è trovato a dover giudicare la illiceità o meno della condotte delle agenzie italiane, ha richiesto espressamente un giudizio della Corte ritenendo potenzialmente violati da una eventuale condanna, i principi di libertà di stabilimento e libertà di prestazione dei servizi. Dubbio non infondato, visto che la Corte ha stabilito che qualora una società come la Stanley, con sede in uno Stato membro, realizzi attività di raccolta di scommesse con l’intermediazione di una organizzazione di agenzie situate in un altro Stato membro, le restrizioni imposte alle attività delle agenzie costituiscono indubbiamente un ostacolo alla libertà di stabilimento.
Parimenti, per quanto concerne la violazione della libertà di prestazione dei servizi, premesso che per servizi si intendono le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, le scommesse organizzate in un altro Stato membro, ancorché aventi ad oggetto eventi sportivi organizzati nel primo Stato membro, rientrano nella definizione di servizi; allo stesso modo sono servizi quelli che un prestatore offre telefonicamente o telematicamente a potenziali destinatari stabiliti in altri Stati membri senza spostarsi dallo Stato membro-originario nel quale è stabilito.
Non è pertanto conforme alle disposizioni del Trattato imporre da parte dello Stato italiano restrizioni ad attività offerte via internet, costituendo altrimenti una violazione alla libera prestazione dei servizi da parte di un prestatore. Inoltre la libera prestazione dei servizi deve comprendere anche la libertà sia di ricevere che di beneficiare dei servizi offerti da un prestatore stabilito in un altro Stato membro, senza impedimenti da restrizioni: ragionamento che vale quindi sia per le agenzie che per i giocatori.
Stabilisce quindi la Corte che: “Si deve pertanto rilevare che una normativa nazionale quale la legislazione italiana sulle scommesse in particolare l’articolo 4 della legge n. 401/89 costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento ed alla libera prestazione dei servizi.”
A rafforzare questa posizione è intervenuta anche una sentenza del Tribunale di Torino, datata 7 gennaio 2004, pronunciata sul caso di un Internet Point in cui erano stati rinvenuti affissi fogli riportanti calendari di eventi sportivi e relative quote di scommesse in materia di eventi sportivi esteri connessi ad una società austriaca: in pratica la raccolta delle scommesse trasmesse via internet avveniva nell’internet point dove gli utenti erano provvisti di una carta pre-pagata scaricata dal sito della società austriaca, ma in caso di vincita il premio veniva dato direttamente dal gestore del locale il quale riceveva su conto estero l’ammontare delle vincite da liquidare nonché il corrispettivo delle sue prestazioni.
Il Giudice torinese motivava il provvedimento di annullamento di sequestro dei locali e dei pc richiamando sia la pronuncia della Corte europea sia il principio secondo cui la repressione del gioco d’azzardo nel nostro paese non sembra trovare giustificazione nemmeno in “motivi imperativi di interesse generale”: laddove le autorità di uno Stato inducano ed incoraggino i consumatori a partecipare alle lotterie, ai giochi d’azzardo, o alle scommesse affinché il pubblico erario ne benefici sul piano finanziario, non possono poi invocare l’ordine pubblico sociale con riguardo alla necessità di ridurre le occasioni di gioco per giustificare provvedimenti che dichiarino illecite strutture come quelle relative ad internet point come nel caso di specie.
Infine, essendo il Trattato europeo immediatamente operativo in quanto recepito nel nostro ordinamento e costituendo norma gerarchicamente superiore a quella nazionale che si ponga con lo stesso in contrasto, deve ritenersi in omaggio alla gerarchia delle fonti ed alla logica dei dettami interpretativi della normativa comunitaria contenuti nella sentenza della Corte Europea, la norma italiana va disapplicata con annullamento di ogni provvedimento emesso nei confronti dei gestori degli internet point.
Avv. Valentina Frediani
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