Quanto conta l’etica nel contesto della comunicazione aziendale? Il tema è dibattuto ormai da molto tempo, dividendo coloro i quali credono fermamente nella necessità di una esposizione chiara su alcune tematiche, rispetto a quanti predicano la massima neutralità narrativa attorno ai brand. Nessuno ha ragione e nessuno a torto perché, come ovvio, solo una comunicazione ben calibrata può portare una azienda alla giusta comunicazione, con il giusto messaggio, verso l’utenza giusta.
Tuttavia viviamo un momento particolarmente complesso, che ha messo alla prova la comunicazione di tutti i grandi brand e che ancora per lunghi mesi terrà in ansia tutti coloro i quali si occupano di comunicazione aziendale. Questo è il momento delle scelte: se in tempi di normalità “un bel tacer non fu mai scritto“, consigliando una precauzionale cautela di fronte agli eventi più “caldi” dell’attualità, ora invece ai brand si chiede di prendere posizione perché questo è quel che si aspetta un’utenza sballottata tra regole e pericoli.
Brand purpose, ora e subito
Oggi la comunicazione aziendale ha uno strumento fondamentale che giorno dopo giorno si fa universale: comunicare online significa parlare direttamente con la propria clientela, nonché con la propria clientela potenziale, e significa quindi prendere direttamente posizione all’interno di una società. Si può prendere posizione tacendo? Sicuramente, visto che anche la non-comunicazione è comunicazione di per sé. Tuttavia non è quello che l’utenza si aspetta in questa fase specifica.
Da anni ormai si parla di “brand purpose” vaticinando la necessità da parte delle aziende di schierarsi su temi specifici e prendere posizioni – anche scomode, se si ha il coraggio – per far trapelare quelli che sono i valori dell’azienda. Brand purpose significa abbracciare finalità sociali e perseguirle, creando una vera solidarietà tra mondo commerciale e società civile. Questo atteggiamento dà carattere al brand rendendolo comunicativo in sé e di per sé, posizionandolo su specifiche sacche di mercato e facendo in modo che l’uso commerciale dei prodotti rappresenti per il cliente una condivisione valoriale.
Il brand purpose dovrà necessariamente far coincidere l’identità del consumatore con l’identità di marca: è il caso di Armani, Ferrari – e tanti altri brand – che con prodotti “rinnovati” e necessari, hanno sviluppato comportamenti virtuosi tesi a rafforzarne il «codice genetico» ma, al contempo, dispiegandone un’attitudine evolutiva, innovativa e sociale
Non sono bastevoli le frasi “in questi tempi incerti” o “in momenti di crisi” o possibili ricette per “ricostruire”, “rinascere” o semplicemente “andare avanti” che si susseguono in modo incalzante dall’online all’offline.
Si richiede al brand un effettivo ampliamento dei significati con un corrispondente incremento della sua funzione comunicativa, entrambi tesi a esprimere, rendere evidente e gestire il valore sociale del brand per il contributo teso al conseguimento del purpose: migliorare la vita degli individui e dell’intera società.
Ciò appare semplice quando in ballo ci sono temi ampi e ineludibilmente condivisi come il climate change: combattere contro il cambiamento climatico è cosa tanto valida quanto ormai banale (vogliamo dirlo? possiamo dirlo?), perché questo inno alla sostenibilità è ormai anestetizzato dall’abitudine e sterilizzato dal fatto che tutti, nessuno escluso, ne sposano la causa. Ciò rappresenta una vittoria per i paladini della battaglia ecologica per il clima, ma esclude il tema da possibili slanci in avanti da parte delle aziende: non resta che andare a ruota, palesare i propri sforzi per la difesa dell’ambiente e tranquillizzare il cliente circa l’impronta ecologica del prodotto e del suo utilizzo.
Ci sono invece altri temi sui quali è molto più complesso schierarsi poiché rappresenta una scelta forte che caratterizza il posizionamento. Mentre palesare la propria avversione al razzismo appare cosa comunicativamente “scarica”, quasi ovvia data l’apparente ovvietà del tema in discussione, i fatti di cronaca negli USA hanno trasformato il tutto in qualcosa di imprescindibile. Che i grandi brand hanno immediatamente colto.
— Amazon (@amazon) May 31, 2020
Così Amazon come T-Mobile e molti altri: font bianco su sfondo nero per esprimere piena solidarietà nei confronti di George Floyd. Senza se e senza ma.
Racism, hatred, inequality must have no place in our world. Every person has the right to feel safe, seen and heard. pic.twitter.com/n7RWUlOArH
— T-Mobile (@TMobile) May 30, 2020
I brand che non comunicano in contesti simili prestano il fianco al beneficio del dubbio, così come un Presidente che prima di esprimere solidarietà alla vittima si affretta a promettere di schierare i cani contro la protesta.
In questa fase è più che mai fondamentale per le aziende tenere ben saldi i legami con il proprio target e con i propri collaboratori e dipendenti. E farlo con responsabilità. Per questo è necessario portare in vita il purpose, ovvero il proprio ruolo sociale più profondo, e trovare il modo giusto per collegarlo al contesto.
Carlo Noseda, presidente IAB Italia
Queste aziende non stanno difendendo le razzie, gli incidenti e le offensive dei rivoltosi: la violenza non è mai difendibile. ecco perché comunicare in questa fase è pericoloso, c’è un crinale molto sottile oltre il quale il messaggio può prendere una piega del tutto differente. Ma chi ha in mano le sorti di un brand non può fare a meno di cogliere il rischio e schierarsi, per far vedere che la propria azienda intende essere dalla parte giusta della storia.
Minneapolis is grieving for a reason. To paraphrase Dr. King, the negative peace which is the absence of tension is no substitute for the positive peace which is the presence of justice. Justice is how we heal.
— Tim Cook (@tim_cook) May 29, 2020
Anche Apple ha dato segni forti: ha chiuso i propri store a Minneapolis per garantire la sicurezza dei propri dipendenti, ma ha anche espresso solidarietà e avviato una raccolta fondi. Apple, così come Nike, Adidas, Amazon ed altri, sono visti dal cuore della rivolta come grandi brand globalisti al fianco dei poteri forti. Ricordate cosa succedeva ai Blockbuster, pochi anni fa? Nemici a prescindere, soprattutto quando le istituzioni hanno mostrato il pugno nei confronti del popolo e quest’ultimo è pronto a ribellarsi. Ecco quindi le vetrine saltare e gli incendi appiccati, nonché le razzie come espressione di una – ingiustificabile – volontà di riequilibrare le sorti del mondo. Violenza come espressione di una contrapposizione che nessun brand può ignorare, soprattutto quando la comunicazione porta tutti all’interno della medesima comunità ed i valori diventano posizionamento percepibile, profilo avvertibile, identità tangibile.
Valori è valore
In una lettera di alcuni mesi or sono, il CEO del fondo BlackRock, Larry Fink, ha chiaramente invitato le aziende ad esprimere i valori che contraddistinguono i propri brand. Nascondersi non vale più: di fronte ai cambiamenti epocali serve coraggio. Solo creando una connessione profonda con la propria utenza un brand può garantirsi successi di lungo periodo. Esprimere i valori di una azienda con segni evidenti ed iniziative lungimiranti è qualcosa che la finanza dovrà strettamente tenere in considerazione perché i valori sono garanzia di valore, di ritorno dell’investimento, di community che crescono e possono essere monetizzate.
Durante la recente emergenza sanitaria le pubblicità sono cambiate e tutti i grandi brand hanno orientato la propria comunicazione verso l’empatia dei brand nei confronti degli italiani. Musiche, immagini, bandiere e quant’altro sono stati orientati verso questo sentimento solidale che ha chiuso l’Italia su sé stessa, predicando un sentimento collettivo che avrebbe rappresentato un grande abbraccio pieno di sentimenti. Si trattava di iniziative sporadiche che hanno reso evidente quanto il brand, se messo alle strette, è pronto ad esprimere valori. Ma non sono quelli i momenti in cui si fa la differenza: la differenza la fa il brand che nel momento più scomodo ha il coraggio, la forza, la capacità e la sicurezza di poter prendere una posizione “politica”. Non nei confronti di un partito o di un Governo, tutt’altro: nei confronti di un ideale, a prescindere dai colori che possano esservi a supporto.
L’utente lasciato solo di fronte al pericolo che disorienta, è un cliente che cerca un lido tranquillo presso cui attraccare. Comunicare valori significa fornire una condivisione intima, significa tendere la mano per proporre un cammino insieme.
La comunicazione, soprattutto quella online, quella sui social, quella non-mediata, è un lavoro quotidiano estremamente delicato che richiede professionalità di altissimo livello, mai come oggi. Non ci si improvvisa, non più: non c’è brand che possa permettersi di nascondersi dietro un dito, perché non è nascondendosi dietro un dito che si potranno affrontare cambiamenti epocali, grandi cambiamenti e sfide globali.