Quando acquisti un nuovo Microsoft Surface, ignori la provenienza delle terre rare utilizzate per la fusione dei chip. Così come quando acquisti un Apple iPhone 13 ignori la provenienza dei metalli utilizzati per i sensori interni. Allo stesso modo quando acquisti un nuovo Pixel 6 non sei tenuto a sapere chi abbia estratto dal terreno quei minerali fondamentali per la produzione del dispositivo. Eppure proprio consapevolezza e tracciabilità sarebbero fondamentali perché, come denuncia Repòrter Brasil, la produzione tecnologica potrebbe in alcuni casi far leva su canali di import non sempre completamente trasparenti e lineari.
Secondo l’accusa, infatti, proprio gruppi quali Microsoft, Apple e Google avrebbero fatto uso nei propri device di oro illegale, estratto dalle miniere per mano di indigeni brasiliani dislocati nella foresta amazzonica. L’oro in oggetto, spiega l’accusa e riporta Reuters, sarebbe stato utilizzato principalmente in smartphone e computer (nei casi di Apple e Microsoft), oppure nel comparto server (per Google ed Amazon).
L’anello di congiunzione tra il Brasile e la Silicon Valley californiana avrebbe però baricentro in Italia, per la precisione ad Arezzo.
Brasile – Italia – Silicon Valley
I big della Silicon Valley spiegano da tempo di avere stringenti policy di controllo per evitare che i materiali utilizzati possano provenire da fonti di contrabbando o favorire lo sfruttamento dei lavoratori. Repòrter Brasil, tuttavia, è chiaro nelle proprie accuse: l’oro sarebbe stato acquistato dalle raffinerie dell’italiana Chimet e della brasiliana Marsam tra il 2020 ed il 2021 ed i fornitori di entrambe le fonti sono sotto indagine per danni ambientali ed estrazione illecita di risorse naturali.
Una triangolazione Brasile – Italia – California, insomma, che è venuta alla luce a seguito di indagini brasiliane che gettano un’ombra sull’intera filiera di approvvigionamento dell’oro:
L’oro estratto illegalmente nelle miniere della Terra Indigena Kayapó, nel sud del Pará, ha alimentato la produzione di uno dei più grandi leader di metalli preziosi in Europa. È un gruppo italiano specializzato nella raffinazione del minerale per la fabbricazione di gioielli, come fedi nuziali, e per la formazione di lingotti d’oro che sono custoditi in caveau di banche svizzere, inglesi o americane. L’acquirente estero di questo metallo proveniente dalle aree proibite dell’Amazzonia – “legalizzato” per frode prima di recarsi all’estero – è Chimet SPA Recuperadora e Beneficiadora de Metais, acronimo di Chimica Metallurgica Toscana, colosso del settore che occupa la 44° posizione tra le aziende che guadagnano di più in Italia. Nel 2020 ha registrato il fatturato più grande della sua storia: oltre 3 miliardi di euro (circa 18 miliardi di R$), con un aumento del 76% rispetto all’anno precedente.
Le miniere illegali sono un grave problema in Brasile poiché rappresentano la fonte di guai quali il disboscamento, lo sfruttamento di zone protette, lo sfruttamento degli indigeni, l’inquinamento delle acque (principalmente a causa del Mercurio) e la creazione di canali illegali di contrabbando. Apple avrebbe immediatamente risposto alle accuse spiegando di voler annullare le future collaborazioni con il gruppo carioca, mentre non c’è stata menzione di quello italiano; Microsoft, Google ed Amazon non hanno invece ancora portato avanti la propria versione dei fatti. La collaborazione tra Apple e Chimet, dunque, sarebbe ancora in auge dopo aver evidentemente verificato l’assenza di responsabilità oggettive da parte del gruppo italiano di import e raffinazione.
Spiega ancora l’editore brasiliano:
Per arrivare al nome della raffineria italiana, la Polizia Federale ha indagato su una complessa organizzazione criminale di estrazione illegale, formata da decine di personaggi che lavorano nel sud del Pará e che mantengono collegamenti con società con sede a San Paolo, Goiás e Rio de Janeiro – che, a loro volta, “lavano” (legalizzano tramite frode) ed esportano il metallo. Lo schema è stato messo a nudo nell’ottobre dello scorso anno con l’Operazione Terra Desolata, quando sono stati emessi 12 mandati di arresto e 62 mandati di perquisizione e sequestro […]
L’aretina Chimet (che a suo tempo ha risposto alle accuse prendendo le distanze da ogni tipo di illecito, ma ammettendo al tempo stesso “il rischio che effetti negativi possano essere associati al commercio e all’esportazione di minerali da aree ad alto rischio“) sul proprio sito spiega di considerare la sostenibilità “come la chiave per il mantenimento della propria posizione di società leader nel fornire un servizio industriale basato su un ciclo chiuso di recupero, affinazione e produzione di metalli preziosi e prodotti chimici a base di metalli preziosi” e per questo motivo “coniuga il benessere con il risparmio ambientale delle materie prime, dell’energia e del territorio“. Tre le promesse palesate:
- Minimizzare l’impatto delle attività sull’ambiente.
- Condurre l’azienda in modo socialmente ed eticamente responsabile.
- Consolidare e far crescere il patrimonio aziendale per assicurare il reinvestimento del capitale e l’introduzione di tecnologie innovative per il miglioramento continuo.
Il problema principale in questo caso non è la Chimet in sé, quanto l’azienda fornitrice, la brasiliana CHM. I proprietari della stessa, gli italiani Giacomo Dogi ed il padre Mauro Dogi, sarebbero al centro delle indagini sull’estrazione illegale nella terra indigena di Kayapò ed avrebbero fornito oro alla raffineria.
Così La Nazione lo scorso 10 febbraio:
L’azienda [ndr Chimet] è stata contattata dall’agenzia Dire e ha negato qualsiasi coinvolgimento nella vicenda, oltre ad affermare di non essere a conoscenza di un’indagine della polizia brasiliana che la riguarderebbe. Concetti, questi, rilanciati anche nelle risposte che Chimet ha inviato a Reporter Brasil dopo essere stata sollecitata sull’inchiesta
La sensazione è che Repòrter Brasil abbia effettivamente colto nel segno e che con un colpo di spugna abbia gettato luce sulle ombre delle certificazioni, delle filiere e delle promesse di sostenibilità. Non è chiaro quanto la regolarità delle azioni fosse consapevole, tuttavia: i fornitori delle due raffinerie sono state oggetto soltanto recentemente delle indagini locali e per i big tech sarà ora chiaramente necessario prendere le distanze e tornare a fonti di approvvigionamento più limpide.
Reuters precisa inoltre come Chimet non abbia relazioni diretta con le 4 Big Tech, ma venda l’oro a banche che a loro volta ne fanno uso in svariati modi..
Delle responsabilità in Brasile se ne occuperanno le sedi opportune, mentre della sostenibilità dovrà occuparsene chiunque partecipi alla filiera produttore-consumatore, a qualunque livello: lo chiede il Brasile, ma lo deve pretendere anche l’azienda produttrice e l’acquirente dei Paesi più avanzati.