Il browser “Brave” si sarà forse presentato al mondo come il browser che difende la privacy degli utenti, ma sicuramente non è un paladino di comportamenti virtuosi su altre sponde. Nato dal cofondatore di Mozilla – nonché creatore di Javascript – Brendan Eich, Brave è stato infatti scoperto alle prese con una pratica che la sua utenza non avrà sicuramente gradito: la sostituzione delle url navigate.
La scoperta è dell’utente Cryptonator1337, il quale su Twitter ha espresso tutto il proprio stupore per quel “ref=25089877” generato in automatico dal browser per trarre lucro dalle sue eventuali operazioni sul sito Binance.us:
So when you are using the @brave browser and type in "binance[.]us" you end up getting redirected to "binance[.]us/en?ref=35089877" – I see what you did there mates ?
— Cryptonator1337 (@cryptonator1337) June 6, 2020
Il tutto cade peraltro in un momento particolarmente positivo, con il browser in forte crescita negli ultimi mesi fino a raggiungere quota 15 milioni di utenti per farsi finalmente notare dopo anni di sviluppo dell’idea.
Brave, link affiliati in segreto
Secondo quanto scoperto, il browser sostituiva l’url navigata con una simile che all’indirizzo aggiungeva una piccola stringa di codice utile a creare una affiliazione che monetizzasse le operazioni dell’utente sul sito stesso. Il problema sta nel fatto che tutto ciò avveniva all’insaputa dell’utente. Parlarne al passato è ora possibile poiché il passo indietro è stato immediato: Eich si è scusato, ha fatto ammenda per l’errore e ha promesso che non sarà più posto in essere un meccanismo similare.
It's not great, and sorry again. I'm sad about it, too.
— BrendanEich (@BrendanEich) June 6, 2020
L’affiliazione era stata attivata con siti che si occupano di criptovalute quali Binance, Coinbase e Trezor: una volta identificata l’url, Brave valutava se fosse possibile dar vita ad un indirizzo modificato per poi rigenerarlo. Di fatto, però, è come se l’utente atterrasse sul medesimo sito in un modo differente, ed in ogni caso togliendo all’utente la certezza e la trasparenza di quanto avviene durante la sua navigazione.
A pensar male si fa peccato, ma non è questa una prima volta per Brave e la sensazione è che quest’ultima forzatura altro non sia se non la conseguenza di un modello di business aggressivo che cerca di “smontare” gli elementi gestiti dal browser per identificare una formula di monetizzazione alternativa che possa rendere sostenibile il progetto. In passato, infatti, Brave già mise più volte le mani sulle inserzioni mostrate a schermo per sostituirle con advertising proprio. Questa formula non ebbe successo, men che meno l’ha avuta la sostituzione delle url.
Ma il Web non è sostituzione: semmai è arricchimento. Brave lo sta imparando un errore dopo l’altro.