Come annunciato ad agosto , Samsung ha compiuto la sua ultima mossa nella annoso contenzioso brevettuale in corso con Apple: ha chiesto l’intervento della Corte Suprema degli Stati Uniti.
Si tratta solo dell’ultimo capitolo dello scontro legato alle accuse di violazione mosse da Apple a Samsung in materia di brevetti di design relativi alla forma e al trade dress di iPhone e iPad , ricalcati, secondo l’accusa (e poi secondo i giudici), dai dispositivi della linea Galaxy, e in materia di alcuni titoli di proprietà industriale legati a funzionalità dei suoi dispositivi.
Nonostante le due restino ottime partner commerciali, la vicenda legale che le separa è lunga, travagliata ed per il momento senza fine: poco più di tre anni fa, per la prima volta, un giudice USA condannava l’azienda coreana a pagare più di 1 miliardo di dollari per la violazione dei brevetti di quella statunitense, e tale verdetto è ancora valido oggi anche se modulato e circoscritto da decisioni e sentenze diverse ottenute dalle due in diversi gradi di giudizio (e che hanno ridotto la somma dovuta dalla coreana) e rispetto a singole questioni ad esso collegate. Alla fine Samsung è stata condannata, e da questo punto di vista si è arresa, a pagare 548 milioni di dollari di danni ad Apple .
Per Samsung, tuttavia, non è detta l’ultima parola : se non per sé stessa in prima persona, agirà per il sistema brevettuale in generale, che avrebbe bisogno di una revisione da parte della Corte Suprema.
Così ai giudici si rivolge ora contestando il fatto che nei precedenti gradi di giudizio non siano stati forniti ai tribunali le sufficienti informazioni per comprendere e, di conseguenza, valutare i brevetti di design in ballo e le sottigliezze su cui questi si basano. Inoltre contesta il modo in cui sono stati calcolati i danni: un argomento, quest’ultimo, su cui ha tentato di insistere anche nelle fasi precedenti del procedimento e che ha già portato ad uno sconto dei danni dovuti a Cupertino.
In generale, tuttavia, Samsung riferisce che sta portando il caso davanti alla Corte Suprema perché “crede che il modo in cui la legge viene interpretata non sia in linea con i tempi moderni” e rischia conseguentemente di “ostacolare l’innovazione e la competizione e di aprire la strada a innumerevoli cause di nuove forme di patent troll specificatamente concentrati sul design che rischiano di bloccare i tribunali ed avere un impatto negativo su economia e consumatori”.
Claudio Tamburrino