Brevetti? Liberiamo l'open source

Brevetti? Liberiamo l'open source

Uno studente di ingegneria si chiede se quantomeno i software aperti non dovrebbero essere immuni dai paletti a cui il sistema dei brevetti sul software è destinato a dar vita
Uno studente di ingegneria si chiede se quantomeno i software aperti non dovrebbero essere immuni dai paletti a cui il sistema dei brevetti sul software è destinato a dar vita


Roma – Gentile redazione di Punto Informatico, vi scrivo riguardo al tema dei brevetti software come studente di Ingegneria Informatica, come appassionato di opensource e come cittadino, per apportare nuove informazioni al dibattito in corso.

Da anni si sente parlare di brevetti come quello della Microsoft sul “doppio click del mouse” o la tecnologia Amazon “One-Click”, che testimoniano come i confini dell’ammissibile non esistano affatto. Il sistema dei brevetti americano, il cui massimo beneficio in termini di progresso umano è stata la possibilità di assistere alla vicenda Sco v.s. Linux, ha perso totalmente la fiducia del consumatore così come gli esperti che parlano dei vantaggi dei brevetti.

La dottrina economica ci spiega che la tecnologia può essere interpretata come una variabile di una funzione di produzione, per cui quanta più tecnologia implementiamo tanto più a parità di capitale e lavoro investiti avremmo un output maggiore, in poche parole più software disponibile. I brevetti sul software aumentano le spese di produzione e il rischio legato alla violazione per l’azienda non facente parte dell’oligarchia dominante.

I consumatori pagheranno caro e amaro il software, essendo obbligati dalla legge a comprare software originale, da tecnologie come palladium a farlo sul serio e dal mercato a scegliere un prodotto molto costoso. L’opensource rappresenta un vero progresso e non un trincerarsi dietro protezioni legali.
Di cosa hanno paura le multinazionali sostenitrici della propria supremazia nella qualità?

Ogni codice rilasciato sotto licenza compatibile con la GPL-2 è un patrimonio dell’umanità e dovrebbe essere tutelato come tale. Esso è protetto da una licenza solida di roccia almeno quanto le più astute licenze proprietarie. Chi produce codice opensource non dovrebbe mai essere passibile di violazione del diritto d’autore perchè contribuisce al benessere comune, posizione che il legislatore dovrebbe privilegiare.

Altro problema pratico come già esposto consiste nell’enorme dimensione dei codici sorgente, che possono toccare cifre come 10.000.000 di linee. Bene, essendo poi il software una realtà dinamica è possibile che lo sviluppatore decida di cambiare non solo l’implementazione ma abbandonare anche una feature e tutti gli algoritmi collegati ad essa in un periodo di tempo irrisorio e senza fornire preavviso alcuno.

Un singolo prodotto paradossalmente impiegherebbe 1000 brevetti di cui alcuni nemmeno usati in fase di produzione ma egualmente brevettati. La validità in senso temporale e il numero dei brevetti americani stanno crescendo poi al ritmo della funzione di Ackermann, minacciando una pericolosa congestione in Europa.

Non credo che alcuna delle persone nella top 15 di Forbes necessiti di essere maggiormente ricca e potente di quanto già non lo sia e nemmeno che noi comuni cittadini vogliamo o dobbiamo essere più poveri di quanto già ci sentiamo. Chiunque, non solo i programmatori, dovrebbe ormai porsi con coscienza il problema di come inciderà sulla propria vita l’orientamento normativo riguardo tale materia.

Il software ormai è ovunque. Aggiungiamo quindi già da adesso un ipotetico 20% al costo di ogni prodotto toccato da tale normativa.

Distinti saluti,

Davide Minini

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Pubblicato il
27 giu 2005
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