Brevetti, un altro stop a quelli software

Brevetti, un altro stop a quelli software

Corte federale blocca il titolo con cui un troll pretendeva royalty da chiunque mostrasse pubblicità prima di un video online. La tecnologia non basta a fare un'invenzione originale
Corte federale blocca il titolo con cui un troll pretendeva royalty da chiunque mostrasse pubblicità prima di un video online. La tecnologia non basta a fare un'invenzione originale

Un Tribunale federale degli Stati Uniti ha invalidato un brevetto in forza del quale il detentore aveva iniziato a denunciare diverse aziende Internet per l’impiego dell’advertising all’interno dei video online . Al centro del contendere vi era il brevetto a stelle e strisce 7,346,545 , attraverso il quale Ultramercial rivendicata per sé un “metodo e sistema per il pagamento delle royalty di proprietà intellettuale attraverso un messaggio promozione su una rete di telecomunicazione”: dietro il legalese delle rivendicazioni del patent troll si nascondeva semplicemente un sistema attraverso il quale permettere la visione di materiale protetto da diritto d’autore dietro pagamento alternativo costituito dalla visione di un determinato tipo di advertising .

Il brevetto, che forse colpevolmente aveva passato la discriminante di novità anche se probabilmente sistemi analoghi erano impiegati già prima della del 2000 (data cui si fa riferimento nel deposito), nonché quella dell’attività inventiva avendo sorprendentemente i dipendenti dell’ufficio brevetti statunitense ritenuto non scontata l’idea di fare anticipare video online da pubblicità, sembrava rappresentare il tipico esempio delle derive negative dell’attuale interpretazione delle invenzioni collegate a software.

Il processo per vederne l’annullamento è stato , d’altra parte, lungo e travagliato: la vicenda è stata sollevata dalla piattaforma di streaming Hulu e da WildTangent che hanno fatto arrivare il caso in tribunale resistendo alle pressioni minacciose di Ultramercial, con quest’ultima che pretendeva il pagamento di royalty in cambio della possibilità di utilizzare advertising prima di video in streaming. Da lì la questione ha avuto una escalation fino alla Corte Suprema i cui giudici – per primi – si sono accorti che effettivamente c’era qualcosa che non andava nel brevetto: per questo hanno rimandato la questione al tribunale federale, cui hanno chiesto di rivalutare la questione.

Questo – ora – ha deciso che il brevetto è invalido: come già stabilito in casi come quello Alice v. Bank, non basta associare un’automatizzazione tramite sistema informatico a pratiche commerciali per renderle brevettabili.

Claudio Tamburrino

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Pubblicato il
21 nov 2014
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