Roma – È insolito trovare una direttiva o una legge come quella in discussione nell’Unione Europea dal titolo Brevettabilità delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici ove si specifica il mezzo col quale l’invenzione viene attuata lasciando poi questa, che dovrebbe essere l’oggetto del brevetto, del tutto indefinita ; come parlare di una invenzione attuata per mezzo di ingranaggi o di motori elettrici, e poiché gli elaboratori elettronici funzionano con l’energia elettrica, si potrebbe anche parlare d’invenzioni attuate per mezzo di questa.
Tale imprecisione appare, a prima vista, ingiustificata e cervellotica, se non fosse per il furbesco tentativo di stornare o attenuare l’attenzione dal proposito di brevettare i programmi (software), gli unici oggetti, pur se immateriali, che possono essere attuati sugli elaboratori, e di eludere la legislazione internazionale che protegge questi programmi con il diritto d’autore, come nella convenzione di Berna del 1971, nella Convenzione Brevetti Europa del 1977, nella stessa direttiva europea 91/250 del 1991 o nel Trips del WTO del 1994.
Per capire il perché di questi contorsionismi è necessario rifarsi brevemente alla storia di questa direttiva, tra le più contestate e contrastate della legislazione europea. La storia inizia il 24 giugno 1997 con la pubblicazione del Libro Verde sul brevetto comunitario che apre alla riflessione sulla brevettabilità delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori; riflessione a cui segue una fase di consultazioni tra gli operatori interessati.
Dai risultati “Prevalgono numericamente le risposte dei sostenitori del software libero” “Anche se queste ultime( le grandi imprese)… sono state numericamente assai inferiori a quelle favorevoli al software libero, non sembrano esserci molti dubbi sul fatto che la bilancia del peso economico… pende a favore dell’armonizzazione secondo le linee suggerite dal documento” (nota 1); ma, commenta il comitato Economico Sociale “…si è tenuto conto solo del parere di una dozzina di grandi industrie del software, per lo più non europee” (nota 2). Con tali criteri selettivi, che vanificano la consultazione, la Commissione Giuridica presenta nel febbraio 2002 la relazione con la proposta di direttiva.
La relazione illustra non solo l’ossatura della direttiva ma anche e soprattutto, direi, la filosofia che l’ha ispirata . Parte dal presupposto di “Creare condizioni di parità tra l’Europa e gli Stati Uniti… avvicinare su questo punto la legislazione europea dei brevetti a quella degli Stati Uniti” , necessità che permane pur in presenza di riserve anche pesanti sulla legislazione USA, tra cui “…che possono rafforzare la posizione di mercato delle grandi imprese… però non è stato dimostrato che questi effetti cancellino gli effetti positivi della brevettabilità…” (nota 3). Insomma il monopolio non è poi questo gran peccato che si dice; ma la relazione tace sul fatto che le multinazionali del settore sono prevalentemente americane e che quindi la direttiva proposta va tutta a loro favore .
Date questa premessa rimane, però a superare la contraddizione tra il diritto d’autore sul software con la direttiva che all’opposto vorrebbe brevettarlo; da qui equilibrismi e contorsionismi tra cui quello sulla nozione di tecnico perché “…le invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici possono essere brevettabili se hanno un carattere tecnico, ossia se appartengono ad un campo della tecnologia” , e poiché “…tutti i programmi funzionanti su un elaboratore sono per definizione tecnici (perché un elaboratore è una macchina) e possono quindi essere considerati una invenzione ” (nota 4) è come dire che le opere letterarie sono dei prodotti tecnici perché le stampanti sono delle macchine .
Tanta disinvoltura non basta a superare l’ostacolo, ci vuole un argomento più raffinato quale la distinzione tra algoritmo e programma , per cui “…un algoritmo considerato come entità teorica isolata dal contesto di un ambiente fisico…ha un carattere intrinsecamente non tecnico e non può quindi essere considerato un’invenzione brevettabile” . Fatta questa distinzione tra algoritmo teorico-astratto e quello pratico il gioco sembra fatto; il primo non è brevettabile e cosi la legislazione vigente è rispettata mentre il secondo per essere intrinsecamente tecnico lo si può brevettare. L’assunzione del teorema è, però, arbitraria perché l’algoritmo astratto può essere vero, al massimo, per le formule di matematica che da sempre non sono brevettabili; ma poiché l’algoritmo è “una sequenza di istruzioni, che eseguite, consentono la risoluzione di un problema” (nota 5), per quanto riguarda il software esso non è mai astratto poiché il problema che risolve è sempre un concreto.
La costruzione ideologica, architettata dalla commissione giuridica per legittimare la brevettabilità del software, è evidentemente surrettizia ed infondata ; ma perché tanta tenacia nel volere brevettare il software? La risposta la dà la direttiva stessa; leggiamola attentamente “…il diritto d’autore sussiste in qualsiasi forma d’espressione del codice fonte o del codice oggetto, ma non nelle idee e nei principi alla base del codice fonte o del codice oggetto di un programma… non preclude i molti altri modi possibili di esprimere le stesse idee e gli stessi principi in diversi codici fonte od oggetto. Esso inoltre non tutela dallo sviluppo di un programma identico o sostanzialmente identico…” . All’opposto “il titolare di un brevetto per un’invenzione attuata per mezzo di elaboratori elettronici ha quindi il diritto d’impedire ai terzi di utilizzare un software che metta in atto la sua invenzione. Questo principio vale anche se si possono trovare vari modi di ottenere questo utilizzando programmi il cui codice fonte od oggetto differisce da quello di ciascun altro…” (nota 6).
Tradotta questa lunga citazione in linguaggio corrente, significa che il titolare di un brevetto può impedire qualunque software che utilizzi gli stessi codici fonte o oggetto, cosa che non può sempre impedire col diritto d’autore. Considerando che il brevetto dura venti anni, chi ha le risorse per sviluppare un’adeguata politica brevettale può esercitare, di fatto, un dominio, oltre che un monopolio sul mercato anche se la commissione sostiene che “poiché i brevetti tutelano l’interesse della società non devono essere utilizzati in modo da ostacolare la concorrenza” (nota 7): ingenuità o malafede?
Tutto questo groviglio di malcelate intenzioni non ha incantato il mondo dell’ open source che sviluppò un’intensa opposizione in tutta Europa e raccolse oltre 200.000 firme convincendo moltissimi deputati europei a valutare criticamente quella proposta di direttiva. A questa protesta si è affiancato un documento severamente critico del Comitato Economico e Sociale Europeo e, altrettanto critici i pareri delle commissioni per la cultura e per l’industria e il commercio che avanzarono una serie d’emendamenti. Il testo arriva cosi al Parlamento Europeo nel settembre del 2003; questo capovolge l’impostazione originaria della direttiva e licenza in prima lettura una direttiva molto diversa che recepisce molte delle critiche sollevate .
La sconfitta dei fautori del brevetto del software è evidente e pesante ma non demordono e, appigliandosi ai formalismi burocratici, promuovono azioni autenticamente antidemocratiche . Nel Maggio del 2004 il Consiglio dei ministri, su proposta del commissario Bolkenstein, approva una direttiva che stravolge quella approvata dal parlamento. Il 17 febbraio del 2005 la conferenza dei capigruppo del Parlamento Europeo approva all’unanimità la richiesta della Commissione giuridica di azzerare la direttiva e di ripresentare un altro testo. Ma il Consiglio dei ministri del 18 Maggio ignora pervicacemente questo pronunciamento e decide d’inviare al Parlamento Europeo per la seconda e definitiva lettura un testo che, dopo ben quattro rimaneggiamenti, è peggiore di quello del 2002 .
L’indignazione è altissima tanto che la FFII (Foundation for a Free Information Infrastructure) contesta la legalità della decisione, e parte una seconda petizione europea di protesta. Il ministro Stanca , pur essendosi il governo Italiano astenuto, tenta una giustificazione della direttiva elaborata dal Consiglio, ed è bene che la esaminiamo perché è il punto nodale, il kernel, della proposta medesima e sul quale si concentrano le argomentazioni dei fautori.
Il problema sollevato da Stanca è il seguente. La Convenzione Brevetti Europea (CBE) all’art 52, sancisce che il software non è brevettabile, ma al comma 3 recita che il divieto è applicabile al software in quanto tale, lasciando quindi aperto il dubbio che i software applicativi si possono brevettare. È per quest’interpretazione che l’Ufficio Brevetti Europeo (UBE, che ha capacità giuridiche proprie ed è indipendente dall’Unione Europea) ha rilasciato circa ventimila brevetti sul software . Quindi non c’è motivo di scandalo che la proposta di direttiva, inviata dal Consiglio dei ministri al Parlamento, abbia recepito l’interpretazione dell’UBE, art 4. comma 1: “Un programma in quanto tale non può costituire un’invenzione brevettabile” .
Ma cosa significa la formula magica: in quanto tale? Con essa si radicalizza la tesi del 2002 della distinzione tra algoritmo astratto e quello concreto, quale criterio distintivo tra il brevettabile e no, ricorrendo al principio ontologico della metafisica aristotelica “dell’essere in quanto tale” che non si vede come possa essere applicato al software dato che i brevetti si studiano e si chiedono per fare profitti cosa che i principi ontologici non producono.
Così proseguendo al comma 2 dello stesso articolo si dichiara compiaciuti che “…non sono brevettabili le invenzioni implicanti programmi per elaboratori che… non producono alcun effetto tecnico oltre a quello delle normali interazioni fisiche tra un programma ed un elaboratore” . Ma esiste un programma per elaboratore che non produca alcun effetto tecnico? E le normali interazioni fisiche cosa sono, se non effetti tecnici? Conclusione: poiché programmi del genere non ve ne sono, ne possono esistere, tutti i software saranno brevettabili, riservando nemici il diritto d’autore ai software astratti ed in quanto tali, ossia alle chiacchiere.
Così formulata, la direttiva è ambigua e intrinsecamente pericolosa . La letteratura in merito mostra che in USA, dove il software è brevettabile, vi sono ripercussioni negative, in primis per lo sviluppo di un contenzioso legale molto pesante. La brevettazione del software, di fatto, favorisce i monopoli delle grandi imprese che possono investire somme ingentissime nella partita dei brevetti. Per fare un esempio la IBM gestisce, a secondo le fonti, da 35000 a 40000 brevetti di cui un 15000 sparsi per il mondo. Sono numeri indicativi sia dell’enorme investimento organizzativo, di ricerca ed anche finanziario che una multinazionale dedica alla partita “brevetti” ma anche dell’impossibilità per le piccole e medie imprese, le PMI, di potervisi confrontare, di fare concorrenza ; questa di fatto scompare dal mercato mentre rimane la paccottiglia ideologica messa in piedi per giustificarla.
La direttiva proposta è un pericolo per la produzione industriale poiché oggi, sempre di più, i software e gli elaboratori associati ad elementi meccanici concorrono a comporre prodotti ed oggetti capaci di realizzare una grandissima varietà di processi autocontrollati. Il monopolio del software, così come avviene nel settore agricolo, ove il monopolio degli Ogm genera dipendenza e sudditanza negli agricoltori, sarebbe penalizzante per le PMI che giustamente sono diffidenti verso tale direttiva. La brevettazione del software col favorire la concentrazione dei brevetti nelle grandi imprese ha per conseguenza di concentrare la ricerca che non viene orientata alla produzione del sapere ma dei profitti escludendo con ciò la possibilità dell’open-source. L’esito sociale a cui tende la brevettazione del software, è la creazione di nuove sudditanze , la privatizzazione della cultura e la sua riduzione a forme stereotipe e a linguaggi fittizi come n’è esempio il testo di questa direttiva. La diversità come risorsa per la vita e la società umana viene progressivamente sacrificata al dominio dei monopoli.
Il software è uno strumento culturale ed operativo troppo potente per essere gestito da criteri solo privatistici come ci propone la direttiva sulla sua brevettazione; da strumento di liberazione della creatività dell’uomo, può essere usato come veicolo di nuove ubbidienze e subalternità.
Giancarlo Zinoni
Note
– Tutti i documenti citati nel testo si possono trovare in:
italia.attac.org/spip/rubrique.php3?id_rubrique=95
1) Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa alla brevettabilità delle invenzioni attuate a mezzo di elaboratori elettronici. Relazione. Bruxelles 20/02/2002 COM(2002) 92 p. 4. Ricordo che all’epoca, la Commissione mercato interno era presieduta da Bolkestein.
2) Il parere del Comitato Economico Sociale è stato espresso il 4 marzo del 2002.
3) Proposta di direttiva… p.5
4) Ibidem p.7
5) Grande enciclopedia della scienza e della tecnologia, voce Algoritmo, De Agostini 1997.
6) Proposta di direttiva del Parlamento europeo.ecc. p.8
7) Ibidem p.18