La Corte Suprema si è finalmente espressa sul caso Bilski, attesissimo processo su cui si stavano concentrando le attenzioni degli osservatori, destinato a segnare il destino della brevettabilità dei software di per sé.
La vicenda riguarda un metodo commerciale (che al contrario in Europa non è brevettabile) per la gestione di alcuni titoli di borsa per cui Bernard L. Bilski aveva fatto domanda di brevetto. La Corte Federale ne aveva respinto la brevettabilità giudicandolo troppo astratto e mettendo in discussione, di fatto, il cosiddetto machine-or-transformation test : tramite di esso, finora, si era valutata la brevettabilità di un’invenzione di un’idea astratta, verificandone l’ impatto sulla realtà tramite una macchina ad hoc .
Il metodo Bilski sarebbe, secondo alcuni osservatori e avvocati difensori, potuto essere brevettato se circoscritto maggiormente o rivendicato con parole diverse. Esprimendo maggiore concretezza.
Ma la Corte Suprema ha sostanzialmente confermato la decisione della corte inferiore e rifiutato la brevettabilità del metodo Bilski perché giudicato “troppo astratto”.
In realtà, il caso sembra confermare la mancanza di requisito di brevettabilità solo nel caso specifico, non allargardo il giudizio se non su ragionamenti generici. Anche se un’opinione minoritaria (che ha perso 4 contro 5 rispetto alla tesi poi approvata) redatta da uno dei Giudici (John Paul Stevens, appena andato in pensione) affermava la generale non brevettabilità dei metodi commerciali .
Il machine-or-transformation test , dunque, non ne esce rafforzato ma neanche completamente sconfitto: pur venendogli riconosciuta una utilità, non dovrebbe più rappresentare l’unico test per verificare la possibilità di brevettare un metodo commerciale.
Piccola delusione sul fronte della brevettabilità del software , dal momento che i riferimenti a questa materia nella sentenza sono solo indiretti e generici: Red Hat si era inserita nel procedimento nella speranza che, dal momento che il medesimo machine-or-transformation test è utilizzato per la valutazione dei brevetti software, fosse l’occasione giusta per aprire un dibattito su una possibile riforma.
Nell’unica parte della lunga sentenza in cui i giudici fanno riferimento all’argomento si legge tuttavia che: “Pur essendo una base di valutazione più che sufficiente nell’era industriale, ci sono ragioni per dubitare che il test possa costituire un criterio esclusivo per stabilire la brevettabilità o meno di un’invenzione nell’era dell’informatica”. Insomma, un piccolo spiraglio per Red Hat e gli altri supporter di una riforma del sistema brevettuale dei software.
La Corte, per la verità, fa un passo indietro subito dopo questo passaggio, affermando di non voler esprimere opinioni di merito più ampie di quelle toccate dal caso in sé . Tuttavia ha riaperto , almeno indirettamente, il dibattito sulla possibilità di vedere qualche cambiamento in materia. E soprattutto ha affermato la necessità di restringere il campo della brevettabilità con principi aggiuntivi in grado di adattare in maniera più efficiente la logica brevettuale alle caratteristiche delle nuove tecnologie e alle nuove fattispecie.
Claudio Tamburrino