Si fa presto a dire smart home, ma cosa nel concreto rende una casa davvero intelligente? La connettività? Quell’insieme di tecnologie che una volta chiamavamo domotica e che ora stiamo sempre più facendo confluire nel calderone IoT? I dispositivi che interpretano i nostri comandi vocali? Difficile trovare una risposta in grado di mettere d’accordo tutti e di mantenere la propria inattaccabilità nel tempo.
Da casa a smart home
L’argomento è stato trattato nel panel “Delivering the Next Generation Smart Home” organizzato nella cornice del Broadband World Forum andato in scena nei giorni scorsi a Berlino, che ha visto salire sul palco alcuni dei player appartenenti a settori di mercato inevitabilmente destinati a interfacciarsi se l’intenzione è quella di definire ed evolvere il concetto stesso di smart home: Patrick Ribardiere (Senior Director of Product Line Management for the Connectivity Business Unit di Qualcomm), Rakesh Kumar (CTO Wireline Networks di Airtel), Nicolas Fortineau (Director in-home Connectivity Products di Liberty Global) e Jiri Laznicka (CTIO IoT di Orange).
Si potrebbero usare termini altisonanti e complessi giri di parole per descrivere cosa e come sarà una smart home, quali i requisiti necessari per ascrivere un’abitazione a questa categoria. La verità, emersa anche dall’incontro, è che tutto risulta ancora piuttosto confuso, un orizzonte poco chiaro se non indecifrabile, forse anche in virtù dell’accelerazione che ha subito lo sviluppo di tecnologie e servizi destinati a questo ambito. Insomma, prospettive e incertezze si equivalgono arrivando talvolta a compenetrarsi in un settore che in ogni caso sta per essere investito da un importante cambiamento.
Parte della responsabilità (merito o colpa lo capiremo più avanti) è da attribuire all’ingresso delle Internet company in questo territorio: prendiamo ad esempio Google e Amazon, che di recente hanno dimostrato l’intenzione di concentrarsi sempre di più sullo spazio domestico, proponendo nuovi dispositivi e nuovi software sempre più profondamente integrati nelle nostre case, delegati a gestire, velocizzare e automatizzare operazioni quotidiane fino a poco tempo fa lontane dall’influenza di algoritmi e intelligenze artificiali. Vanno a inserirsi nello spazio che intercorre tra utente e l’azione da compiere, ne raccolgono e analizzano il comportamento, assumendo così il ruolo di intermediario.
Compatibilità e frammentazione
All’orizzonte si prospetta un universo di opportunità, anche in termini di business, ma al tempo stesso si allunga l’ombra di una possibile, ennesima eccessiva frammentazione tra protocolli, tecnologie ed ecosistemi. Un fattore che già in passato ha tarpato le ali alle innovazioni legate alla domotica. Quale dunque la via da percorrere? Quella delle partnership che mirano ad estendere la compatibilità tra le piattaforme e i dispositivi? È un’ipotesi, di cui certamente beneficerebbe l’utilizzatore finale (compro un elettrodomestico e sono certo funzionerà con il mio smart speaker), ma che poco sembra piacere a chi invece intende imporre sul mercato la propria soluzione facendole assumere i connotati di uno standard.
Insomma, se vogliamo chiamare smart home un’abitazine che ospita smart speaker, smart display, un termostato intelligente e un sistema di sorveglianza connesso con il cloud, abbiamo già tutti gli elementi per farlo. Se invece vogliamo fare un passo in avanti, andando oltre e pensando alla casa di domani come a un ecosistema più evoluto (e integrato), all’interno del quale far confluire device che anziché aggiungere un ulteriore layer d’interazione operano in modo quasi invisibile e nel nome della semplificazione, non possiamo che volgere lo sguardo più avanti e immaginare qualcosa di diverso. Con quale forma e configurazione, ad oggi non è dato a sapere.